Cinque carte sbagliate (Marco Novaresi, L’Onda, 2020)
Marco Novaresi, classe 1953, ha attraversato – prima come studente della Statale di Milano poi come imprenditore – il ventennio che va dagli anni della contestazione studentesca a quelli della Milano da bere. È nell’arco di questo periodo che ambienta la fiction noir (non priva di elementi autobiografici) di cinque giovani amici che, a causa della sottrazione di una valigetta “sbagliata” piena di denaro illecito e armi, finiscono travolti, forse per gioco forse per noia, da una torbida vicenda di spie, corruzione, servizi deviati e poliziotti integerrimi.
Il romanzo non fornisce rivelazioni inedite o elaborazioni di filoni di inchiesta trascurati (come invece fa, ad esempio, Loriano Macchiavelli nel suo Strage, Einaudi, 2010), ma offre una panoramica su una delle fasi più controverse e tormentate nella storia della Repubblica attraverso lo sguardo disincantato di giovani che si trovano a proprio agio molto più sui tavoli da gioco che nelle assemblee studentesche.
I protagonisti infatti che, come l’Autore, non sono militanti, scelgono il voto sulla base dell’estetica del simbolo del partito e considerano i politici “… tutti uguali. Tutti ladri figli di puttana”, appartengono a quella che allora era stata definita maggioranza silenziosa. L’epoca in cui i giovani indifferenti alla politica erano molti più di quanto la storiografia del tempo voglia far credere. I più “fortunati” tra questi rappresentano il prototipo di quei qualunquisti che sarebbero divenuti, nell’edonismo degli anni ’80, gli yuppies, arrivando a possedere, come Roberto, uno dei protagonisti del romanzo, quella MG spider azzurra che, bambini, avevano sognato nei giochi con i modellini di metallo Bburago.
Qual è la differenza rispetto ai giovani di oggi? “Oggi – risponde l’Autore – i giovani non hanno nemmeno più sogni da realizzare, né una spider né tantomeno la rivoluzione”.