Domenica 12 maggio, alle ore 17,30, nella Sala Rosa del 32mo Salone internazionale del Libro di Torino, Giordano Bruno Guerri presenterà il suo nuovo lavoro – uscito lo scorso 23 marzo – “Disobbedisco – Cinquecento giorni di rivoluzione – Fiume 1919/1920” (Mondadori, 550 pagine, €28,00).
Non è la prima volta che l’autore si occupa di Gabriele D’Annunzio e delle sue imprese, siano esse letterarie, belliche o amorose. Questo è infatti il quinto libro che il giornalista e divulgatore toscano dedica al poeta abruzzese. Il più noto, è certamente “D’Annunzio, l’amante guerriero” uscito per i tipi di Mondadori nel 2008 e ristampato un paio di anni fa.
Quest’ultimo esce invece a ridosso del Salone per ricordare – o forse sarebbe meglio dire celebrare – il centenario dell’impresa Fiumana, iniziata proprio nel 1919 e più precisamente il 12 settembre.
Lo sforzo di Guerri è quello di segnare le distanze tra l’esperimento politico fiumano e le forme istituzionali consolidate nell’immediato primo dopoguerra. La novità di questo libro, infatti, è quello di far emergere, sulla base di nuovi documenti ritrovati dall’autore negli archivi del Vittoriale, una nuova interpretazione di quei quindici mesi che segnarono profondamente la storia dell’epoca, ma che furono poi rimossi dalla storiografia ufficiale, a partire dal 1945, per via dei rapporti che D’Annunzio ebbe con Mussolini.
Già si sapeva delle profonde tensioni che dividevano i due personaggi, prima e dopo l’occupazione di Fiume. G. B. Guerri cerca di entrare nei dettagli per meglio spiegare al lettore il suo punto di vista. Un punto di vista che risulta fortemente sbilanciato a favore del poeta-vate; il che non poteva essere altrimenti, viste le simpatie che l’ex- direttore de L’Indipendente ha sempre dimostrato nei confronti del pescarese.
Guerri sostiene che “il Vate sognava di trasformare la sua «Impresa» in una rivoluzione globale contro l’ordine costituito, e nell’avveniristica Carta del Carnaro – una costituzione avanzatissima – teorizzò un governo della cosa pubblica lontano da quello dello Stato liberale, socialista, fascista”.
E continua: “Per sedici mesi Fiume fu teatro di cospirazioni, feste, beffe, battaglie, amori, in un intreccio diplomatico e politico sospeso tra utopia e realtà. Militari, scrittori, aristocratici, industriali, femministe, sovversivi, politici, ragazzi fuggiti di casa componevano l’esercito del «Comandante», inconsapevoli di quanto avrebbero influenzato l’immaginario del Novecento”.
Addirittura l’autore vuole segnare la distanza dell’esperienza di Fiume con il Fascismo – che pure ne riprese diverse manifestazioni . Nella presentazione si afferma infatti: “Se molti legionari aderirono al regime, come Ettore Muti, molti altri furono irriducibilmente antifascisti, confinati o costretti a morire in esilio, come il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris”.
Si tratta di una tesi sicuramente interessante anche se personale. Vasta è infatti la bibliografia che non condivide questa tesi. Ma sull’argomento è stato davvero scritto tutto e il contrario di tutto. L’aspetto positivo di questo ennesimo testo è la leggibilità, che ne fa un libro di facile e godibile fruibilità anche per chi non sia uno specialista.