Chi si ricorda di Dario Camoni? Forse il mio vecchio amico, e oggi editore, Stefano, che di Guareschi conosce, e ricorda, ogni pagina e ogni riga.
E, soprattutto, ogni personaggio. Anche minore. Anche minimo.
Come Dario Camoni, appunto.
Appare solo una volta. In un breve racconto di “Don Camillo e il suo gregge”, la raccolta più varia, e forse meno organica. Il titolo è “Ritorna il 1922”, e la storia fu pubblicata per la prima volta nel Marzo del ’52, sul “Candido” ovviamente, la creatura prediletta di Guareschi. Ed una delle più importanti e straordinarie riviste della storia culturale italiana. Tanto straordinaria da continuare a venire, pervicacemente, ignorata dalla critica snobistica e politically correct. Perché a governare, il mondo editoriale e non solo, sono pur sempre quei cortigiani che Giovannino amava sbertucciare. E che ancora non gliela hanno perdonata…

Comunque il racconto finì poi nel film”Il ritorno di don Camillo “. Molto edulcorato, però, chè Rizzoli temeva le reazioni dell’intelligenzia sinistra. Perché il tema era caldo ancora. Anzi rovente. Per di più ad interpretare Dario Camoni, il fascista irriducibile, fu chiamato a fare un cammeo Paolo Stoppa. Attore grandissimo. Ma completamente fuori parte.
Comunque l’ambientazione è durante il Carnevale del paese. La sfilata delle maschere, come si usava il Giovedì e il Martedì Grasso. Niente di pretenzioso. Maschere cucite e improvvisate alla bell’e meglio. Fatte in casa.
Come quella di Dario Camoni. Che torna in paese travestito da pellerossa. Ma sulla sua moto. E viene così riconosciuto. Da don Camillo e da Peppone. E questo è un problema. Perché nel, lontano, 1922 il Camoni era stato uno squadrista. Uno di quelli veri e duri, non di quelli che erano poi saltati a frotte sul carro del vincitore. Per rinnegarlo quando, infine , il vento era cambiato.
E Camoni, che doveva saldare i conti con i “rossi” che gli avevano picchiato il padre quando era bambino, si era ritirato quando non c’era stato più da menar le mani. Non era uomo da regime. Però ne aveva spazzolati e purganti troppi. Tra i quali Peppone e persino don Camillo. E così, caduto il Fascio, se ne era dovuto andare.
Ma la nostalgia è canaglia. E così torna mascherato. A Carnevale. Peppone e don Camillo lo riconoscono e…

Basta così. Andate a leggerlo. Non voglio provare a raccontare male ciò che Guareschi racconta benissimo.
Quello che mi preme è altro.
La storia di Dario Camoni è ambientata di Carnevale. E lui è in maschera. Ma dietro la maschera vi è un uomo vero. Come uomini veri sono don Camillo e Peppone. Uomini di una volta. Dai temperamenti duri e sanguigni. E dalle forti passioni. Il Fascista, il Comunista. Il Prete che parla col Cristo dell’altar maggiore.
E forti erano le loro storie. Fatte anche di legnate, olio di ricino. Raffiche di mitra, talvolta. Ma erano storie di Uomini. E, alla fin fine, fra di loro c’era rispetto.
Guareschi è stato l’ultimo, autentico cantore di quel mondo. Di uomini di quella fatta, già allora sempre più rari.
Potevano mettersi in maschera, come Dario Camoni. Ma restavano loro stessi. La maschera non era simbolo di paura. E una volta strappata, si palesava il volto. Duro, deciso. Ma umano.
Altre maschere è forse inutile toglierle. Dietro non resta più nulla. Un’espressione attonita. Uno sguardo vacuo. Un pesce rosso nella Boccia ha occhi ben piu vivi…