“Decolonize your district”. Bisogna essere profondamente deficienti per proporre una iniziativa di questo tipo in Italia. A Torino, nel caso specifico. La banda yankee, evidentemente yankee visto l’utilizzo di una lingua che non è l’italiano e tantomeno il piemontese, vorrebbe denaro pubblico per decolonizzare il parco del Valentino. E la senatrice di Fdi, Paola Ambrogio, ha invitato il Comune di Torino ad evitare di sprecare i soldi dei contribuenti per questa, ennesima, pagliacciata.

Perché “decolonizzare” un parco cittadino utilizzando la lingua dei nuovi colonizzatori è quanto di più ignobile si possa immaginare. E poi i “figli di Biden” cosa vorrebbero fare, in pratica? Abbattere il castello sabaudo? Colorarlo in stile arcobaleno? Smantellare il borgo medievale perché il Medioevo è brutto, cattivo e poco inclusivo? Organizzare dei tour turistici per spiegare ai visitatori quanto erano cattivi i piemontesi che avevano osato difendere la propria indipendenza?
Oppure, in nome della decolonizzazione, sostituire la latteria svizzera con un fast food statunitense? Cambiare i nomi delle società remiere imponendo nomi afroamericani? Non si può tollerare “Cerea”, “Imbarco reale”, “Armida” (e, sulla sponda opposta, Eridano, Esperia, Caprera). Bisogna decolonizzare, includere, omologarsi. Oh yeah.

Si potrebbe intitolare qualche circolo canottieri ad Harry e Meghan: persino gli statunitensi non li sopportano più e ce li possono mandare gratis. E un circolo a Obama non vogliamo dedicarlo? A Kamala Harris? A Black Lives Matter? E togliamo le statue risorgimentali, i cippi che ricordano momenti migliori, le fontane con figure fastidiosamente europee.
Decolonizziamo il parco. Anzi, the park. Perché non accettare di essere colonizzati dai padroni statunitensi vuol dire essere razzisti colonizzatori.