Stamattina è venuto giù il diluvio. Pioggia battente, gelida. E, al contempo, tuoni di inusuale violenza, preceduti da lampi che sembravano mandare in mille pezzi un cielo cupo e livido. Come lo specchio della strega delle favole.
Una bomba d’acqua, come si usa dire oggi, con un (brutto) neologismo. Un nubifragio, come si diceva, e scriveva, quando ancora la nostra non era ancora diventata una lingua approssimativa. Perché, in queste occasioni, le nubi si frangono, ovvero sembrano andare in pezzi. E scaricano sulla terra tutta l’acqua di cui sono gravide. Le bombe non c’entrano un bel niente…
Mio figlio guarda dalla finestra. Affascinato. Mi riconosco, in questo, in lui. Anche a me, da ragazzino, tempeste e temporali piacevano. Vi trovavo qualcosa di possente. Di primordiale…
“Però… Thor è proprio arrabbiato, oggi.”
Chiarisco. Mio figlio non è un appassionato di mitologia norrena. Nè un lettore dell’Edda. Anche se confesso di avergli più volte parlato di quelle saghe…
Ma il merito, o la colpa, va alla Marvel. A Stan Lee. Il, da poco, defunto geniaccio del fumetto di supereroi. Cartoni e gadget annessi. Ormai i modellini sono in uno scatolone in garage. Quella fase è superata. Ma, evidentemente, qualcosa gli è rimasto…se non altro nel modo di descrivere le cose.
Thor è arrabbiato. Gli Dei sono irati. E manifestano la loro collera dal Cielo. Con i tuoni, i lampi..violenti rovesci di pioggia che rendono le strade impraticabili. Paralizzano un traffico già normalmente caotico. Allagano, creando veri e propri acquitrini intorno a tombini otturati dalle foglie…e che, ovviamente, nessuno si è peritato di sturare. Più facile, e comodo, poi parlare di evento eccezionale, di catastrofe naturale…e magari tirare fuori le solite balle sul cambiamento climatico eccetera….
I Romani, quelli di una volta, quelli veri, parlavano di Giove Pluvio. E gli tributavano preghiere e sacrifici. Perché dosasse le precipitazioni. Che erano essenziali per la vita dei campi, ma che, se eccessive, potevano distruggere i raccolti. E causare danni alla Città. Lo pregavano, e però facevano attenta manutenzione degli scoli e delle cloache… Erano Romani, loro….
Poi, come tutti i popoli antichi, in certi fenomeni meteorologici estremi, vedevano la volontà degli Dei. E ne traevano presagi e ammonimenti. I Celti – Galli, Britanni… – temevano che il Cielo potesse infrangersi. E crollare loro sulla testa.
Superstizioni che non ci toccano… Noi crediamo nella Scienza, rigorosamente con la maiuscola. E infatti giriamo con mascherina in auto da soli. E addirittura ci facciamo fotografare con il volto bendato. Non sia mai che il, temuto, virus ci raggiunga anche per via telematica…
Ma lasciamo perdere… Sarebbe più facile fare comprendere la fisica quantistica ad un aborigeno australiano…
Comunque, oggi gli Dei sembrano davvero irati. E sfogano la loro collera, e forse il loro disprezzo, con continui rovesci di pioggia, alternati a brevi ingannevoli, schiarite. Giusto il tempo per farti uscire, e poi infradiciarti sino al midollo. Roba da prendersi una polmonite… Che, però, non usa più. È cosa, malattia d’altri tempi. Ormai esiste solo…bah, lasciamo di nuovo perdere.
Comunque, se fossi un druida, o un Augure, in una mattina come questa leggerei presagi funesti. Non lo sono. Sono solo uno che osserva il cielo. Che guarda la pioggia e i lampi. Che ascolta la voce del tuono. E che ne trae uno strano, cupo, conforto…
Chissà se il vecchio Noè provava le stesse emozioni. Quando cominciò a piovere. E gli altri ridevano di lui…