In Democrazia “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” e si rende conto agli elettori, per il governo del Mercato invece vigono le regole dell’Autocrazia, chi comanda è scelto dal “padrone” ed a lui si riporta.
In Democrazia, poi, il ruolo delle minoranze è parte del metodo di governo, mentre l’Autocrazia non prevede spazi per la minoranza, ci si allinea o si viene licenziati.
I due sistemi di governo nella metà del secolo scorso erano ben distinti e figli di un momento storico in cui la Sovranità era presidiata da uno Stato con confini, responsabilità e missione chiari e il Mercato ne riconosceva la primazia.
Tutto questo si basava su un chiaro presupposto, quello sulla chiarezza del “luogo” in cui ha sede la Sovranità: lo “Stato”.
Ora proprio la collocazione della Sovranità è in discussione.
Se nel dopoguerra lo Stato governava la finanza, la violenza, il welfare, le politiche industriali, la gestione delle risorse, ora la globalizzazione ha messo tutto in discussione e per me è evidente un galoppante processo di ibridazione tra i due sistemi di governo.
La globalizzazione ha spostato l’attenzione dal “prodotto” alla “finanza” e regole ormai transnazionali fanno evaporare la Sovranità per come la si intendeva ed in base alla quale si erano colorate le carte geografiche, specialmente quelle europee.
Il processo di inurbamento iniziato nel ‘700, figlio della prima frattura economica e della necessità della “massa” per produrre e consumare, comincia a porre qualche quesito riguardo ad un avvenire possibile.
Il progressivo indebolimento, se non la cancellazione, del ruolo delle minoranze e la trasformazione del ruolo dei capi degli esecutivi in figure prossime a quelle di Amministratori Delegati li interpreto come il segnale che l’ibridazione sta procedendo velocemente.
Tutto questo che impatto ha sulla governance delle Alte Terre?
Tempo fa mi chiedevo quali erano i motivi sottesi allo smantellamento di un modello organizzativo che da un millennio aveva permesso di popolare e vivere le Alpi, ora comincio a darmi delle risposte.
Si è iniziato sostituendo le Comunità Montane con le Unioni dei Comuni, le avevo definite mostriciattoli organizzativi, mai definizione fu più azzeccata.
L’introduzione del maggioritario nei piccoli Comuni è in antitesi col metodo comunitario con cui da sempre si gestisce il Monte e ora è evidente che si cerca di metterli in difficoltà facendo mancare segretari, personale e servizi.
Pare evidente un attacco delle istituzioni alpine cominciando dai piccoli Comuni, asse portante che da più di un millennio regge istituzionalmente il governo montano.
Una analisi che mi porta a pensare che si stiano mettendo le basi per una politica coloniale nei confronti delle Alpi, altri motivi non riesco a pensare.
Se nel dopoguerra la “risorsa” da prelevare erano i montanari che servivano all’industrializzazione della pianura, ora si guarda alle risorse naturali rimaste quassù, acqua, biomasse e paesaggio.
Prima però bisogna “normalizzare” le comunità alpine e la governance dei territori, perché quassù rimane una pericolosa e inopportuna predisposizione all’eterodossia.
Se questa ipotesi avesse fondamento, quanto sta succedendo quassù avrebbe una spiegazione e allora cosa potrebbe accadere nei confronti delle Autonomie Alpine rimaste?
Un altro percorso è possibile, auspicabile e urgente: quello di giungere ad un Patto tra Alpi e Pianura, unica strada percorribile nell’interesse comune, anche perché a breve sarà evidente che l’anello debole è in basso, non quassù.
Perché allora non pensare ad una alleanza alpina per proporre e governare un avvenire possibile? Pensiamoci!