Chissà perché, le immagini del Deserto mi fanno sempre pensare a certi quadri di Salvador Dalì. E viceversa, naturalmente.
Forse perché i suoi sogni surreali sembrano sempre sospesi sopra deserti infiniti. Illimitati. E più che sogni si rivelano come miraggi. Morgane generate da una luce intensa. Abbacinante.
Il deserto, in effetti, è qualcosa che mi attrae. Un mistero fatto di sabbia e pietra. Eppure… rigurgitante di vita.
Vita nascosta, ma intensa. Un intreccio di storie. Tante, quante sono le vie che lo solcano. Quindi innumerevoli.
Bruce Chatwin resta, per me, il cantore più affascinante del Deserto. Ovvero dell’uomo che vive, e vaga, nella dimensione desertica.
Ricordo che cominciai a leggerlo da ragazzo. Al mare. Sulla spiaggia di un Giugno particolarmente assolato. Leggevo, e guardavo le piccole dune di Bibione. Sognando che fossero altra sabbia. Altre dune.
Il sogno, atavico, che riposa in noi. Il fascino del nomadismo. I cavalieri del Deserto. “Il vento e il leone”, il capolavoro di Jonh Milius con un grandioso Sean Connery…
E poi, la poesia araba. I lirici pre-islamici. La “qasida”. Un’elegia che canta l’amore e la guerra. I due poli della vita, aspra, di quegli uomini. E che si apre, sempre, con la descrizione, invocazione dell’Amata. Ma, poi, prevede la descrizione del paesaggio. Che è il Deserto. Un deserto che va affrontato, attraversato. Vinto. Per giungere all’oasi. Al refrigerio delle acque. All’ombra dei palmizi. Alla Donna. Che, per tutto il canto, si è profilata all’orizzonte. Irraggiungibile. Sempre sfuggente. Come un miraggio. Una Morgana di luce.
Il fascino del Deserto è il mistero della solitudine. Assoluta
Di un Vagare senza meta apparente. O meglio, definita. Precisa.
Il mistero di una ricerca, a ben vedere. Di orizzonti…. lontani. Di oasi di pace. Che concedano un momento, almeno, di ristoro. Prima di dover riprendere la via.
Guardo le strade della città. Vuota, nel primo pomeriggio di un Maggio che, finalmente, sembra deciso a divenire preludio dell’estate. Certo, non c’è la sabbia. Non vi sono dune all’orizzonte. Eppure…
Questo silenzio. Questa desolazione. Mi afferrano come nostalgia, strana, di immensità mai vissute, se non nel sogno. Metafora della vita. O meglio dell’esistenza. Che è camminare nel deserto, cercando…
Da una finestra aperta, giunge una musica. A tratti, riconosco le parole..
“E ti vengo a cercare… /per capire meglio la mia essenza…. /un rapimento mistico e sensuale…”
Torno verso la libreria. Prendo un volume dimenticato da troppi anni.
“Le vie dei canti”. Di Chatwin.
Comincio a leggere…