“Ma tu, qui, in questi tempi intendo, non ti trovi davvero bene? Perché sei sempre lì che critichi, che filosofi, o almeno fingi di farlo… e però usi gli strumenti di questi tempi, internet, fb, i vari social, lo smartphone… per non parlare degli elettrodomestici… insomma, ammettilo. La tua, da anacronista, è solo una posa intellettuale. In fondo, qui ci stai come un topo nel formaggio…”
Beh… in fondo è vero. Ma solo in fondo, e solo in parte. Gli elettrodomestici mi fanno comodo. Come a tutti. Non ricordo che sociologo (americano probabilmente) ha calcolato, e argomentato, che i moderni elettrodomestici svolgono il lavoro di 5/6 schiavi… cosa che ben pochi, in antico, potevano permettersi…
E internet, fb, lo smartphone mi sono utili. Ricordo, solo per fare un esempio, quando dovevo scrivere gli articoli con la mia, vecchia, Olivetti, e spedirli via fax… o la tesi di laurea… giorni e giorni a Roma, dormendo in una pensioncina, per passare ore nella penombra dell’Istituto Germanico. A consultare libri polverosi e copie di antichi papyri.
Ora è tutto, decisamente, più facile.
Ma è davvero una vita migliore? Per tradurre in termini semplificati, e semplicistici, è davvero più bello vivere così?
Mi permetto di dubitarne. Perché, vedi (mantengo la finzione del dialogo), io ho una disgrazia… una buona, e ormai lunga, memoria del passato.
E ricordo come, da ragazzo, si passavano le giornate festive allo Sport, il bar della piazza centrale. A chiacchierare, di tutto. Politica, ragazze, filosofia, magia… alla rinfusa, senza un ordine, certo. Però era… formativo. Oltre che divertente. E quando vedo gruppi di adolescenti, ognuno col suo smartphone, chiusi in se stessi, in silenzio… beh, mi prende una sorta di tristezza.
La televisione iniziava alle 17. E chiudeva i programmi alle 23 massimo. Non esercitava una vera influenza sulle nostre vite. Erano molto più determinanti la scuola, gli insegnanti (nel bene e nel male), la famiglia (anche qui con tutti i suoi limiti e difetti)… gli amici.
I libri.
Facevamo vacanze povere. Senza hotel con piscina, sauna, ecc… ma erano vacanze vere. Al mare, ai monti. Giochi, lunghe camminate. Respirare aria pulita. Guardare i paesaggi.
Viaggi? Ben pochi e per pochi. Ma già andare a Roma nel ’70, con i miei, per l’adunata dei bersaglieri nel centenario di Porta Pia, fu una grande avventura. Mi è restata dentro. Come la piccola trattoria dove mangiavano in un, rovente, settembre romano.
I primi amori. Non avevi la casa a disposizione. E l’auto, compiuti i 18, era cosa per ben pochi. Passeggiavi per ore con una ragazza. Parlavi. Parlavi. Parlavi. Per rubare un bacio in un angolo buio… ma era bello… accidenti se era bello. A suo modo era poesia, fantasia. Avventura…
Il pensiero della morte c’era. E talvolta si affacciava. Angosciante. Ma lo sentivi come lontano. Nessuno ti instillava l’ossessione per la salute. La mia generazione ha attraversato due pandemie ben peggiori del Covid. E, poi, è stata falcidiata dalla polio. Ogni tanto vi era qualche colpo di coda del colera… retaggio del secolo precedente.
Ma non abbiamo vissuto nella paura. Anzi, non ce ne siamo neppure accorti. Vivevamo, non inconsapevoli, ma accettando le malattie come parte del vivere. Vivevamo, senza il terrore della morte..
Psicofarmaci e psicologi? Nelle classi, oggi, senti odore di benzodiazepine. Allora il ricostituente era un uovo sbattuto la mattina. Per i più rustici anche un goccio di grappa nel latte caldo.
Droghe? Oh certo, c’erano. Ricordo che, in piazza, vi era l’angolo dei drogoni. Strafatti di eroina. E fumati. Ma era un angolo. Gli altri, la stragrande maggioranza, andavano a “ombre”. Calici di vino. E anche quelli venivano limitati dai pochi quattrini in tasca.
Politica diffusa tra i genitori. Pochi soldi, meno tentazioni. E il sabato, con una pizza margherita, una birra e due sigarette (un pacchetto da dieci comprato in cinque) ci sentivamo felici. E fortunati.
Insomma, era così… avevano molto meno, certo. Ma tutto ci appariva bello. E il futuro ricco di aspettative.
Possono dire la stessa cosa i giovani di oggi?
E adesso, dammi pure del qualunquista… sinceramente non mi importa.
Mi scuso con il conte Giacomo per aver, malamente, rubato lo spunto dal suo piccolo capolavoro “Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere”.