A Torino piace “blagare”, termine dialettale – intraducibile in italiano – che deriva dalla parola “blagueur”, vale a dire fanfarone, smargiasso, millantatore. In altre parole a Torino piace far vedere quello che non è.
“E a chi non piace?”, si dirà. Vero! Ma quando si tratta di coprire certe magagne sembra che il capoluogo piemontese sia proprio in pole position.
Era già successo con le Olimpiadi invernali del 2006. Dietro un’organizzazione faraonica che, detto per inciso, pesa ancora sui bilanci pubblici con milioni di Euro di debiti, non c’era nulla. I campioni dello sci venivano non certo da Torino ma, al più, dalle valli circostanti. Nelle specialità olimpiche di squadra nulla esisteva e nulla è stato creato, fatta eccezione per la compagine pinerolese del curling. Gli impianti sono stati abbandonati o solo in minima parte sottoutilizzati. Insomma, Torino non era una capitale degli sport invernali e non sono bastate le Olimpiadi per trasformarla in qualcosa che si avvicinasse a quell’obiettivo. Tanto che, in vista dei prossimi giochi, è stata surclassata dal binomio Milano-Cortina.
La stessa cosa sta succedendo ora con l’Eurovision Song Contest. Dal 10 al 14 maggio ci sarà il festival della trash music che sarà seguito, ci dicono, da 200 milioni di persone. Dalla Reggia di Venaria al Palaolimpico, dal parco del Valentino alla Cavallerizza, tutta la città sarà in vetrina. Per mostrare sé stessa? Sicuro! Per far vedere al mondo quanto siamo bravi in Italia a organizzare manifestazioni? Non c’è dubbio! Per dimostrare che Torino è una città che favorisce la cultura musicale? E no, questo proprio no!
Perché Torino ha visto, questo sì, crescere musicisti, complessi e orchestre che hanno ottenuto un buon successo: ma lo hanno avuto nascondendo le proprie origini subalpine, quasi vergognandosene. Perché Torino non ha mai favorito la crescita dei suoi musicisti, non ha mai dato loro spazio, tanto che quelli bravi, per sfondare, si sono dovuti rassegnare e trasferirsi altrove. Da Fred Buscaglione a Umberto Tozzi, da Renato Rascel a Rita Pavone, dai Subsonica agli Statuto, tutti hanno dovuto sottrarsi all’ombra della Mole per ottenere il meritato successo. Finito il tempo in cui la sede EIAR di Torino selezionava talenti quali Pippo Barzizza, l’orchestra di Cinico Angelini, Ernesto Bonino e il Trio Aurora, tutto è stato smantellato. Di quel periodo sopravvisse soltanto l’uccellino della radio e poi neppure quello.
Oggi il capoluogo piemontese pullula di artisti e musicisti anche di valore. Non è un caso che in città e nei dintorni vi siano molti negozi di strumenti musicali che attirano clienti da ogni parte d’Italia. Ma gli spazi per suonare sono pochi. E quei pochi offrono ingaggi al limite dell’insulto. C’è chi ingaggia i suonatori per compensi irrisori; chi offre la cena o poco più; altri che pretendono esibizioni gratuite e persino dei circoli che, oltre a non pagare, chiedono a chi vuole esibirsi di fare la tessera. Poche le eccezioni. Una manciata di locali alla moda nei quali “girano” sempre gli stessi musicisti.
E questo stato di cose non coinvolge soltanto i gruppi di base, ma molti professionisti che, in teoria, con gli ingaggi dei locali dovrebbero sbarcare il lunario, pagarci l’affitto, le spese, e mantenerci magari la famiglia.
Eppure in questi giorni, sulle pagine dei giornali, si riesce persino a leggere l’appello di qualche personaggio pubblico a tutti coloro che fanno musica a scendere in piazza per farsi vedere e sentire. Un appello all’accattonaggio musicale, insomma.
E a che pro ciò dovrebbe succedere? Per far felici quei gestori che vivono di movida e che, se per puro caso ingaggiano una band, chiedono che alla fine dell’esibizione uno di loro passi tra i tavolini a chiedere un compenso agli avventori?
Ma lo sanno, tutti questi fautori del “quanta gente mi porti?”, che in giro per il mondo c’è chi paga i musicisti perché vadano a suonare nel loro locale? E non stiamo parlando di Parigi, Berlino o New York, ma della Svizzera, della Francia, e di città ancora più vicine come Alba o Cuneo.
Insomma, per dirla tutta: a Torino, dietro l’Eurofestival, niente!