La strategia della tensione non è una prerogativa italiana. E di fronte alla protesta popolare crescente dei gilet jaunes, Micron si è limitato ad applicare la lezione degli anni caldi in Italia:
qualche provocatore infiltrato tra i manifestanti per spaccare vetrine e bruciare cassonetti in modo da offrire un’immagine negativa di chi protesta.
Ha funzionato in Italia, potrebbe funzionare anche in Francia. Dove il governo può disporre di quello che il filosofo di sinistra Jean Claude Michéa ha definito con l’acronimo di Pma, il partito dei media e dei soldi (argent in francese).
E sempre Michéa ha messo in guardia contro i riflessi pavloviani degli antifa che orami assumono il ruolo di cani da guardia del Sistema contro il popolo sempre più arrabbiato.
Mentre la rivolta rischia di contagiare altri Paesi, così com’era successo 50 anni or sono con il Maggio francese.
Ma è davvero esportabile la protesta dei gilet jaunes?
Possibile, per nulla facile. Soprattutto in Italia perché le differenze sono notevoli. Caratteriali, innanzitutto.
La Francia ogni tanto esplode, in Italia prevale la logica del Franza o Spagna purché se magna.
E poi perché la protesta dei gilet jaunes è una sorta di scontro tra contado e città. Contado non significa solo contadini, agricoltori. Bensì quella maggioranza di francesi che non vive nelle poche grandi città.
La Francia, con una popolazione analoga a quella italiana, ha una superficie quasi doppia. Ed i trasporti periferici assomigliano a quelli italiani, dunque scarsi o inesistenti. Per questo è esplosa la rivolta con l’aumento del prezzo della benzina: perché non esistono alternative all’uso dell’auto privata. Per andare a lavorare a decine di km di distanza, per fare la spesa nei grandi centri commerciali, piazzati in mezzo al nulla, che hanno spazzato via le piccole botteghe dei paesi. Per portare i figli a scuola.
In Italia il problema si pone per chi vive nelle località di montagna, ma non si tratta di grandi numeri come nel caso francese.
Inoltre il buonismo ed il politicamente corretto spengono sul nascere ogni velleità di vera protesta. Perché andare in piazza quando puoi twittare?
Così nell’Esagono può andare in scena una protesta che parte dalla benzina ma che si estende al caro vita in genere, imposto dagli orchi di Bruxelles; in Polonia una folla immensa occupa le strade per ribadire il diritto a non farsi schiacciare dalle politiche assurde della Commissione europea; in Belgio e in Germania le piazze si animano.
Solo in Italia le manifestazioni le organizza Confindustria per protestare contro un governo che osa tentare di non allinearsi agli ordini di Juncker, Dombrovskis, Moscovici.
E gli unici che, in Italia, indossano i giubbotti gialli sono politici residuali in cerca di visibilità. Ma assomigliano più a stradini che a novelli rivoluzionari.