Il primo marzo del 1932 moriva a Scandicci, in circostanze mai del tutto chiarite, Dino Campana, forse il più grande poeta del Novecento italiano.
La sua scarsa fama letteraria è tutta legata a un libriccino intitolato “I Canti Orfici”, di cui si trova a malapena traccia nelle antologie scolastiche in uso presso le nostre scuole superiori. E dire che in quelle poche pagine si possono trovare le prose e i versi più rivoluzionari che il genio poetico italico abbia saputo esprimere negli ultimi centocinquant’anni.
La critica letteraria nostrana, nel suo inveterato provincialismo, non ha saputo, o voluto, andare al di là di una vieta definizione di questo artista (che era nato a Marradi, vicino a Firenze, nel 1885) come “il Rimbaud” italiano.
In effetti Campana girò il mondo e fu poeta, ma i parallelismi con il grande rimatore francese si possono fermare qui.
Da carmagnolese mi piace ricordare come Campana avesse conseguito la maturità classica presso il Regio Liceo Ginnasio Guglielmo Baldessano di Carmagnola. Come ci fosse arrivato dalla natia Marradi è taciuto da tutti i suoi biografi. A partire da Sebastiano Vassalli che nel 1984 raccontò la sua vicenda terrena nel romanzo “La Notte della Cometa”, da cui Michele Placido trasse nel 2002 il film con Stefano accorsi e Laura Morante “Un Viaggio chiamato Amore”, ispirato altresì al carteggio che Campana intrattenne con Sibilla Aleramo nel corso di una burrascosa, quanto breve, storia d’amore.
Campana era sicuramente un originale, un uomo fuori dal suo tempo, che mal sopportava le angustie culturali dell’Italia dei primi anni del secolo scorso. Ciò lo portò ad avvicinarsi al gruppo di Lacerba, dal quale si allontanò per via del fatto che Ardengo Soffici aveva perso il manoscritto dei suoi “Canti” che Dino gli aveva prestato per ricavarne un parere. Campana lo riscrisse poi daccapo e lo pubblicò a sue spese; ma la vicenda comportò il suo ulteriore isolamento dall’ambiente letterario degli anni che precedettero il primo conflitto mondiale.
Per i suoi atteggiamenti anticonformistici e ribelli, fin da giovane Campana fu ritenuto insano di mente. E in effetti egli trascorse più o meno metà della sua vita in manicomio. E nell’istituto psichiatrico di Scandicci forse riuscì a trascorrere le ore migliori della sua errabonda vita. E proprio in quell’istituto morì senza riuscire a produrre altre opere.
Ma quel libriccino continua a sussurrarci versi incantevoli e duri come la roccia. Sempre che noi si riesca trovare la pazienza di avvicinarci ad essi.