Nella parrocchia fortemente post-sessantottina dove ho maturato la mia fede, poco e male, per i ragazzi già cresimati erano stati creati degli “incontri di riflessione”, peraltro del tutto simili a quelli che avevano sostituito anche il catechismo prima del sacramento. In una riunione, sollecitati a rispondere a una domanda sulla preghiera, ricordo la risposta di una ragazzina che si difese dicendo di pregare anche quando “pensava”, e la mia reazione di disapprovazione per quella che mi sembrava una scusa ipocrita e auto assolutoria.

Devo dire che oggi rivedo quel mio severo giudizio. Qualcuno prega leggendo o recitando orazioni, qualcuno lo fa a voce alta, ma moltissime preghiere sono in realtà dei pensieri tra sé e sé. Del resto, “pensieri, parole, opere e omissioni” si dice nel Confiteor (anche qui: talvolta a voce alta, talaltra tra sé e sé). Ma mentre le ultime tre rientrano in vario modo nelle “azioni”, i primi tendiamo a concepirli come alternativi a tale categoria, per quanto in fondo si tratti di una convinzione errata, ormai le neuroscienze ci insegnano che qualunque attività della psiche ha un corrispettivo cerebrale organico, fisico: neuroni, sinapsi, impulsi elettrici, processi chimici…
Ciò che è certo è che se “pensando” preghiamo, in positivo, ci condanniamo per contrappasso a essere colpevoli di “pensare male”. Non basta cioè parlare, agire bene, non omettere gli atti dovuti, se nel nostro profondo, intimo e segreto siamo “cattivi”. E poiché basta pensare di pensare male per averlo già fatto, un po’ come nel famoso apologo dell’elefante ripreso anche da George Lakoff in “Non pensare all’elefante!”, di recente pubblicato da Chiarelettere.

Questo soliloquio dialogante, inoltre, prevede un interlocutore molto personalizzato. Di solito ci immaginiamo non Dio ma “un” dio al quale ci rivolgiamo per chiedere qualcosa: di riuscire finalmente a dormire, di guarire un nostro caro malato, di salvarci da un pericolo individuale o collettivo, se siamo persone molto generose e altruiste. La risposta è molto spesso negativa e in tal caso possiamo maledire, bestemmiare, perdere la fede, oppure al contrario cercare la motivazione per cui il Padreterno pur essendo buono ci ha negato quanto richiesto. O, ancora, ci domandiamo in cosa abbiamo sbagliato la richiesta. Come avessimo compilato il modulo sbagliato, inviato a un vecchio indirizzo. O forse Dio era fuori stanza?
Per gli appassionati del genere, imperdibili gli esilaranti “Oh Dio mio!” di Anat Gov (solo un’autrice ebrea poteva scrivere un libro simile, solo l’umorismo yiddish riesce a essere così irriverente) e il film “Dio esiste e vive a Bruxelles” (Le Tout Nouveau Testament), film del 2015 diretto da Jaco Van Dormael.
