Ieri, 10 giugno, ricorreva l’anniversario della morte di Diogene di Sinopoli. Almeno così ci racconta Plutarco, che la fa coincidere nello stesso giorno e nello stesso anno, con quella di Alessandro Magno. Nel 323 a. C. Colui che aveva detto, in passato, che se non fosse stato Alessandro, avrebbe voluto essere Diogene.
È un episodio curioso, uno di quelli che si raccontano sul filosofo che, insieme al suo maestro Antistene, viene considerato il fondatore della Scuola Cinica. Che è, poi, una delle più importanti scuole post-aristoteliche. O, come si usa dire, ellenistiche.
Delle più importanti, ma certo la meno conosciuta. Perché di Antistene e Diogene opere non ci sono pervenute. E della vita del filosofo di Sinopoli più che altro aneddoti. Aneddoti… curiosi. Come quello sul suo girare nella notte buia con una lanterna… gli chiesero: che cerchi, Diogene? E lui rispose: Cerco l’uomo.
O il disprezzo per ogni comodità e ricchezza, che lo spingeva a girare scalzo in inverno, e a vivere, o meglio dormire in una botte…
E questo mi ricorda che la prima nozione di Diogene mi venne, alle medie, dal diario di Jacovitti. Che portava, in copertina, un disegno del filosofo – chiaramente nell’inconfondibile stile di Ben Jac – con tanto di lanterna. E sotto la dicitura: se la donna non trovava che pulivagli la botte,/l’uomo Diogene cercava, sia di giorno che di notte…
Questo per dire che era più che altro una sorta di macchietta, all’interno del complesso della filosofia greca. D’altro canto non molto diversamente lo rappresenta Raffaello, ne La Scuola di Atene. Seminudo, vestito di stracci, gettato per terra con fare pigro, davanti ai grandi della filosofia, in toga o peplo, con atteggiamento solenne.
E infatti lui era… un cane. Perché questo significa, in greco, cinico. Cane. Forse appellativo spregiativo per come viveva. Una sorta di punkabbestia del tempo. O forse perché, come un cane, seguiva le tracce della felicità. Che per lui consisteva nel bastare a se stessi. Nel non dover dipendere in niente da nessuno.
E lo dimostrò proprio nell’incontro con Alessandro. Cui tutti i dotti e i filosofi e gli intellettuali della città erano corsi a rendere omaggio. Tranne Diogene. E allora Alessandro volle andare ad incontrarlo. Trovandolo steso, che si godeva il sole. E gli disse: sono Alessandro, cosa posso fare per te?
E Diogene: spostati. Mi fai ombra.
Un pazzo, vero? Aveva l’opportunità di ottenere un favore dal padrone del Mondo. E la getta via così…
Ma Alessandro, che aveva un pessimo carattere ma anche una grande intelligenza, ed era stato allievo di Aristotele (mica di Tony Verul) ne restò colpito. E ammirato.
Alessandro era un grande. Anzi, il Grande per antonomasia. E nella sua grandezza disprezzava la pletora di leccaculi che gli strisciava ai piedi. E ammirava un uomo che dimostrava di sprezzare ricchezze e potere.
I potenti di oggi non sono grandi. Anzi… con rare eccezioni, sempre più rare, la politica vede il trionfo della più assoluta mediocrità. E il panorama del, cosiddetto, mondo intellettuale, non appare più confortante.
Certo, anche allora i filosofi, gli intellettuali (se vogliamo usare il, brutto, termine oggi in voga) facevano a gara per essere ammessi alla presenza del Macedone… ma, caspita! Almeno era Alessandro il Grande, l’allievo di Aristotele, il figlio (dicevano) di Zeus stesso, il discendente dell’Achille omerico… il conquistatore del Mondo… oggi vi sono quelli che per poter ottenere i favori di Di Maio, o di un altro miracolato della politica di diverso segno, sarebbero disposti…. beh, lasciamo perdere a cosa sarebbero disposti… il Direttore mi dice che questi articoletti vengono letti da un paio di signore… e quindi…
A maggior ragione, però, l’esempio di Diogene mi appare straordinario. Il suo disprezzo per ogni felicità materiale… il suo ironico distacco di fronte a qualsiasi potere… uomini così, soprattutto tra gli intellettuali, non ne nascono davvero più.
E già allora erano merce rara.
Tant’è che, come dicevo, Alessandro ne restò impressionato.