Il primo dicembre sono caduti i 50 anni della legge sul divorzio, ricorrenza che è stata celebrata con toni molto sommessi: prima di tutto per il clima depresso che stiamo attraversando e che certo non incentiva trionfalismi politici, ma anche perché la spinta euforica che produsse quell’innovazione normativa si è da lungo tempo esaurita. Anzi, si è trasformata in una pericolosissima frenata, quella che vede le famiglie mantenere il proprio basilare ruolo di nucleo sociale a surroga dei servizi e dell’assistenza pubblica sempre carenti, perdendo però gran parte del proprio peso economico-finanziario.
In più, con la pandemia, la tendenza al decremento demografico sta conoscendo un’ulteriore accelerazione, mettendo a serio rischio le nostre prospettive previdenziali future. Già, perché con parecchia, sciagurata lentezza abbiamo capito che fare figli non è tanto un segno di osservanza dei dettami biblici quanto un’ineludibile esigenza sociale.
Al riguardo, non si è per nulla ricordato che a fine 2020 ricorre anche un altro anniversario: quello dei 100 anni della prima legge che ha sancito il diritto di abortire, emanata dalla Russia sovietica. La ricorrenza è stata rammentata quasi soltanto dal sempre puntuale Foglio, mentre il 50ennale della legge Fortuna-Baslini ha avuto almeno una fugace apparizione sulle prime pagine di Repubblica e Corriere della Sera.
Nel complesso si può ben dire che sono tutti i diritti civili ad avere smarrito la loro funzione di faro politico e civile, una funzione che in Italia assunsero per il combinato disposto di alcuni fattori. Fondamentale fu quello, di carattere prettamente militante, del Partito Radicale. La straordinaria invenzione di Marco Pannella, un leader che subordinò le sue pur fortissime ambizioni personalistiche alla considerazione che avrebbe potuto incidere molto di più nella società italiana laddove, anziché preoccuparsi di fare il ministro o il parlamentare, si fosse impegnato con le sue eccezionali qualità carismatiche a condurre battaglie all’insegna di quello che oggi chiamiamo soft power.
Un altro elemento fondamentale dell’evoluzione culturale e sociale dell’epoca fu la presenza di alcuni cosiddetti intellettuali civili che sostennero, accompagnarono e precedettero le battaglie radicali con contenuti culturali di genere e livello diversi. In particolare va ovviamente ricordato Pier Paolo Pasolini con le sue inchieste sulla sessualità degli italiani, che evidenziavano come anche i sedicenti cattolici nel privato si comportassero infischiandosene caldamente dei dettami di Santa Madre Chiesa.
Sui diritti civili consigliamo di leggere “La democrazia del narcisismo”, opera che – nonostante sia sottotitolata all’antipolitica – identifica con grande acume la distorsione che il ’68 provocò nell’idea di diritto privatizzandolo, strumentalizzandolo all’individualismo.
In quel processo si segnarono alleanze e contrapposizioni paradossali: le prime, in particolare, tra i giovani desiderosi di dare sfogo alla loro utopia del godimento libertario e le destre economiche che coglievano le straordinarie opportunità di mercato conseguenti all’insediamento dell’immaginazione al potere.
Oggi che si contano 50 milioni di aborti all’anno e che della famiglia tradizionale non è rimasto quasi nulla in piedi, soprattutto nelle convinzioni profonde, basti vedere l’ipocrita dibattito sul “Natale sobrio”, non è certo ipotizzabile né auspicabile una retromarcia reazionaria.
Servirebbe invece un forte, deciso, sostanziale correttivo che riporti i diritti individuali nell’alveo delle esigenze sociali. Un welfare che consenta ai genitori di procreare e mantenere i propri figli, una normativa equilibrata che contemperi le esigenze dei coniugi con quelle dei figli. Ma la demagogia, purtroppo, non è affatto in crisi, pertanto su questi temi continueranno ad alternarsi le risse ideologiche e i silenzi distratti.