A proposito di questa polemica sugli omosessuali, i gender, gli uteri in comodato d’uso ed altre amenità passate per diritti, ritengo più incisivo passare dal particolare al generale.
Si intendeva lo stato di natura come lo ius omnium in omnia, ovvero il diritto di tutti a tutto, compreso quello della vita altrui, ed è per porre rimedio a questo caotico conflitto che Hobbes inventò il Leviatano, il gigante composto da tanti uomini il quale, reggendo i simboli temporali e religiosi, avrebbe offerto sicurezza ai cittadini in cambio dell’obbedienza.
Oggi, ridotto lo Stato ad organizzazione societaria in balìa di minoranze egemoni che ricattano la maggioranza con la violenza delle parole untuose depurate dalla verità e mistificate dall’odio contro l’odio, sembra ragionevolmente che questo ritorno sia raggiunto.
Se poi ci aggiungiamo la cinica proposta della “gravidanza solidale”, oltre alla viscida e infida terminologia usata, si arriva allo sfruttamento della miseria tra donne, si rivendica il diritto perverso della decisione della vita altrui, in una sovversione stessa della natura.
Qui non è il caso di riprendere discorsi psicoanalitici sulla personalità degli adulti e sulle conseguenze dei nascituri, né le fisime ma è indispensabile porre la questione sull’esistenza o meno dello Stato.
Che senso ha mantenere in piedi un marchingegno costosissimo quando apparati illegittimi, perché non eletti, hanno il potere di decidere sulla vita stessa di una Nazione? Che valore può avere un popolo se i suoi cittadini devono subire gli indirizzi di lobby autoreferenziali e settarie? Che qualità sono attribuibili ad un sedicente Stato che non è più formatore di cittadini, ma manipolatore della massa in nome e per conto di voglie individuali e di apparati di affari?
Certo, quando si toccano questi argomenti, salta sempre fuori qualcuno che ti accusa di devianza totalitaria, riferendosi a Hegel o al famigerato Popper, senza averli studiati ovviamente.
Ma, ribadisco, se uno Stato non è etico, se non ha il dovere morale di perseguire la virtù, rinnega la sua funzione più alta per correre dietro al consenso di appetiti e di istinti più dissoluti.
Se, “Il popolo non vota chi lo cura, ma chi lo droga”, come afferma Gomez Dàvila che condivido, a conferma della constatazione di Platone che “uno stato democratico, assetato di libertà, è alla mercé di cattivi coppieri”, allora mi scatta il cinismo distruttivo troppo assopito. E allora penso, come già ho avuto modo altre volte di auspicare, forse sarebbe il caso di incentivare i diritti, favorire le perversioni, incrementare le devianze, assecondare le depravazioni fino a dissanguare questo corpo in agonia e poi seppellirne il cadavere.
Lo Stato è morto, lunga vita allo Stato!