Improvvisamente la lavatrice si è fermata. Nel bel mezzo della centrifuga. E, poi, si è ostinatamente rifiutata di ripartire. Morta. Spenta.
Eppure aveva poco più di due anni…già, giusto il tempo di uscire dalla garanzia.
Ora, non voglio fare drammi, né darmi a riflessioni da terrappiattista che vede complotti ovunque. Massoni oscuri e rettiliani dietro ogni angolo. Però, non è la prima volta che noto come un elettrodomestico abbia una durata di vita che supera di poco quella della garanzia. Casualità? O più semplicemente necessità del mercato? Perché, vedete, se una, poniamo, lavatrice dovesse funzionare senza problemi per una decina e oltre di anni – come avveniva un tempo, coi primi, antidiluviani modelli – che resterebbe da fare ai produttori? Il ricambio veloce è necessario per garantire le dinamiche del mercato.
Ho usato non a caso la parola “antidiluviani”. Perché ricordo bene come, a casa di mia madre, i, pochi, elettrodomestici durassero per tempi biblici. Senza bisogno di tante garanzie. Era una società dove chi produceva qualcosa, si faceva punto d’onore e vanto della qualità del suo lavoro. In fondo, nell’industria del secondo dopoguerra era ancora latente e sottesa una mentalità da artigiani. Perché era dall’artigirnato che erano sorte le industrie. Ed era una mentalità…sana. Fondamentalmente onesta. Chi acquistava un prodotto stringeva con chi lo produceva una sorta di patto. Basato sulla fiducia. Era il retaggio di una concezione ancora comunitaria. Dove il profitto non era l’unica cosa che contasse. Il Mercato non era ancora l’attuale Moloch che tutto divora. Ricordava, piuttosto, su scala più ampia, ill mercato di paese. Dove si comprava da chi si conosceva bene. E nel quale si aveva fiducia.
Poi, con le generazioni successive, tutto è cambiato. In modo sempre più precipite. Analisi di mercato, quotazioni in borsa, manager, bocconiani, finanzieri. L’acquirente non è più un conoscente cui si deve garantire la bontà del lavoro fatto. E mantenere un patto di fiducia. È solo un consumatore. Privo di volto, identità, legami. Qualcuno che deve essere convinto, ingannato, costretto con una sorta di persuasione occulta, a spendere. Pasolini, già negli anni ’70, aveva intuito chiaramente come un certo potere finanziario tendesse a trasformare gli uomini, e cittadini, in meri consumatori. Non era solo una questione di interesse economico. Era, ed è una questione politica. Che svuota totalmente di ogni sogno l’abusata parola “democrazia”.
Ma quanto la fai lunga, dirà qualcuno. In fondo una lavatrice nuova mica ti costerebbe tanto…potresti anche pagare a rate….
Vero. Però, oltre alla questione di principio – vi sembra giusto che questa si rompa appena fuori garanzia? a me sembra una truffa… – vi è un altro problema.
Io mi sto per trasferire definitivamente con mio figlio. Finalmente, lascerò questa casa e questa città. E dove andrò a vivere una lavatrice ce l’ho già. Che senso avrebbe comprarne una nuova, che non mi posso portare dietro, per usarla per una manciata di giorni?
Beh, allora trova qualcuno che te la ripari…
Peggio mi sento. Intanto prova a trovare un tecnico in una Roma d’agosto. Un autentico deserto. Persino rumeni e moldavi – sinceramente i più onesti – sono in vacanza nei loro paesi.
E se anche ne trovi uno, nove su dieci viene, si prende il diritto di chiamata – in questa stagione almeno 100 euro – e poi ti dice che la lavatrice è da buttare. O ti spara un prezzo di riparazione per cui ti conviene comprarla nuova. Tutto secondo copione. Siamo nella (sub) cultura dell’usa e getta. Per questo, per inciso, abbiamo il problema dell’immondizia. E per questo una città come Roma è, ormai, una discarica a cielo aperto. Roba che neppure Ouagadougou, capitale del Burkina Faso. Dove, per altro, la società dei consumi non è certo imperante come da noi. E un certo spirito, magari tribale, di comunità continua a sopravvivere. Per placare l’inquieto fantasma di Thomas Sankara..Che contro questa deriva ha avuto il coraggio di lottare…
Ma allora, chiacchere a parte, come farai? Due settimane senza lavatrice mica sono poche…
Beh, faccio come si faceva un tempo. Lavo a mano.
A mano? Ma come fai?
Beh un catino, acqua, detersivo… E lavoro di braccia. Come si è sempre fatto. Fino ai tempi di mia nonna. Anzi sino alla giovinezza di mia madre…
Per secoli. Per millennii…
Si lavavano i panni a mano. E piatti a mano. Si spazzava senza bisogno di aspirapolvere e robot. E nessuno trovava questi lavori così impossibili e sfibranti. E, ora che ci sto provando, devo dire con ragione.
Intendiamoci. Sono ben contento di avere, nella casa dove mi trasferirò a breve, lavatrice, aspirapolvere ed altro. Sono comodità. Indiscutibilmente. Ma non si deve essere dependenti dalle comodità. Altrimenti diventano droghe. E non è più la macchina a servire te. Sei tu che dipendi dalla macchina.
E qui ci sarebbe tutto un discorso sul Serafino Gubbio di Pirandello. E magari sulla Perfezione della Tecnica secondo Junger. Friedrich George, non Ernst.
Però non ho tempo per altre divagazioni. Devo stendere il bucato appena lavato. Sarà per un’altra volta…