Non c’era la folla delle grandi occasioni, ad Ayas, ad assistere alla lezione/show di Paolo Nori su Dostoevskij. E, come capita purtroppo sempre più di rado, gli assenti hanno avuto torto marcio. È vero, in teoria si trattava della presentazione del libro di Nori “Sanguina ancora”, dedicato appunto al grande scrittore russo. Ma già il titolo della serata (“Perché Dostoevskij mi fa paura”) era diverso ed ammiccante. Difficile, però, farlo capire a chi crede che Saviano sia uno scrittore e Molinari un giornalista imparziale.
Nori, però, non si è preoccupato dei numeri. E neppure del politicamente corretto che avrebbe imposto di rendere omaggio all’Università Bicocca di Milano che, in nome della libertà di pensiero, ha censurato le sue lezioni su Dostoevskij, forse nella convinzione che fosse il nonno di Putin. Con il meraviglioso risultato – ha raccontato Nori – che nei giorni successivi alla censura gli arrivavano 15 proposte al giorno per tenere lezioni in ogni parte d’Italia e d’Europa, ma anche in Cina. “La letteratura è più forte di ogni censura”, ha sottolineato.
Eh sì, perché si parla di letteratura, non di geopolitica. Ovviamente i grandi intellettuali della Bicocca non lo avevano capito.
Mentre lui, Nori, è affascinato dalla letteratura, dalla cultura russa, dal popolo russo, “un popolo di squinternati”, ironizza. Nessun riferimento alla politica, neppure quando ammette che la Russia gli fa paura, sin da quando ha iniziato ad amarla e c’era ancora l’Unione Sovietica. Anzi, la ama proprio perché gli fa paura. Come Dostoevskij, “che amo perché mi fa sanguinare”. Cina, Corea, Stati Uniti no, non li ama e, dunque, resta lontano.
E poi è solo show. Show alto, di grande profondità e cultura, ma elargita sorridendo e facendo sorridere. Come quando interpreta gli autori russi come se fossero emiliani. In fondo non è il primo a sottolineare un qualche legame misterioso tra Russia ed Emilia. Anche nella capacità di commuoversi e Nori si commuove ricordando i rapporti di fratellanza tra i Dostoevskij e pensando al proprio fratello. Spiega la genesi dei libri dell’autore russo, racconta aneddoti sulla vita privata, sul gioco e la povertà. Ricorda Puskin e gli altri autori dell’epoca.
Quasi un’ora e mezza di spettacolo culturale ininterrotto. Una dimostrazione di come si possa andare ben oltre e ben al di sopra dell’immondizia di Fazio/Littizzetto spacciata per intrattenimento culturale. Una ventata di qualità e di ottimismo. Perché, in fondo, è proprio sull’ottimismo che il legame Emilia-Russia si interrompe. Nori ricorda un detto russo: “Un ottimista è solo un pessimista male informato”. Ma un emiliano, anche quando ama sanguinare per Dostoevskij e spaventarsi per la Russia che ama, conserva sempre la capacità di sorridere ed anche di ridere guardando al futuro.