Che ciascuno sia libero di vestirsi come crede non è certo una novità. E non è una conquista dello stupido politicamente corretto dei giorni nostri. Da Caterina Caselli ai Rokes, dai Corvi a Evy e Vandelli: erano gli Anni 60 e gli abiti si accorciavano mentre i capelli si allungavano. E poi sarebbe avvenuto il contrario. Qualcuno storceva il naso, qualcuno ironizzava. Nessuno si suicidava per questo, nessuno si sentiva discriminato se, a casa, doveva litigare con i genitori 1 e 2 per evitare di essere spedito dal barbiere. Nessuno aveva ancora avuto il cattivo gusto di inventare il body shaming.
Ora, invece, si è scatenata una inutile polemica perché un giornalista, su un social, ha criticato l’abbigliamento di una cantante di non eccelso livello. Un commento tutt’altro che terribile. Il poveretto aveva sottolineato che la cantante, avendo “gambe importanti”, aveva sbagliato ad indossare calze a rete che non la valorizzavano. Erano le calze ad essere sbagliate, non le gambe. Ma il criminale è stato sommerso da montagne di insulti.
E la cantante si è sentita in dovere di fare uno show televisivo e sui social contro questo vergognoso esempio di body shaming, difendendo il diritto di vestirsi come meglio crede. Sacrosanto. Ma il diritto di commentare un abito non esiste più? Esiste l’obbligo di recensioni positive anche per abbinamenti orribili? Oppure esiste l’obbligo di tacere in ogni caso?
In realtà la censura potrebbe essere anche utile. Finalmente, di fronte alla sfilata in passerella di abiti inguardabili, non si assisterebbe più ai commenti deliranti degli esperti di moda (ma quanti danni provocano gli esperti di ogni settore?). Finalmente a Sanremo non si assisterebbe più alla provocazione di abbigliamenti assurdi e di corpi semispogliati senza essere particolarmente eccitanti. Il silenzio obbligatorio metterebbe fine al lancio di giacche, gonne, pantaloni, maglioni attraverso i commenti sui social a proposito dei capi indossati da una conduttrice o da un attore.
Il silenzio obbligatorio renderebbe inutili gli outfit di casalinghe in cerca di visibilità ma pronte a denunciare qualsiasi commento negativo. Negativo, non offensivo. Davanti alla foto di un soggetto alto un metro e largo due non si può, ovviamente, ironizzare sul rapporto base per altezza, ma non si può neppure complimentarsi per la splendida linea, per il rischio che il soggetto si senta preso in giro. Ma se non vuoi commenti, perché pubblichi una tua foto sui social?
Forse, oltre che di suscettibilità eccessiva ed insopportabile, il problema è di crassa ignoranza. È un problema di mancanza di conoscenza del significato delle parole. Tra insulto e critica c’è un abisso. Ma con una quota elevatissima di ragazzi che escono dalla scuola senza la capacità di comprendere il significato di un testo anche facile, non si può pretendere che si sappia distinguere un insulto da una critica negativa.