“In Valle d’Aosta la presenza della mafia si respira nell’aria”. Un giudizio tranchant, quello di Don Ciotti. Un giudizio che non è piaciuto in Valle. Anche se un po’ di autocritica non farebbe male. La presenza della ‘Ndrangheta è una realtà consolidata e non serve a nulla negarlo o far finta di non essersene accorti. Al di là delle sentenze della giustizia italiana – puoi essere innocente e ritrovarti con una pesante condanna o, al contrario, puoi essere colpevole e venire assolto – gli atteggiamenti mafiosi non sono certo una novità.
Però sono gli stessi atteggiamenti che Don Ciotti, evidentemente, non riesce a scorgere in molte altre realtà italiane. A partire da Torino, da quel Sistema Torino che dovrebbe conoscere molto ma molto bene. Certo, tutto legale, tutti assolti anche le rare volte in cui bisogna proprio far vedere che la giustizia si muove. Ma se Don Ciotti si riferisce a ciò che “si respira nell’aria”, allora dovrebbe respirare anche l’insopportabile ripetizione ossessiva dei meccanismi che portano sempre i medesimi gruppi di potere a spartirsi cariche, finanziamenti, promozioni, bandi pubblici. Tutto in modo legale, ça va sans dire.
Tutto fatto in modo tale da non lasciar spazio a chi non fa parte del Sistema. A chi non viene cooptato dopo il bacio alla pantofola delle famiglie di potere. Come definisce, Don Ciotti, questo meccanismo? Che, tra l’altro, ha provocato danni colossali a Torino, e continua a provocarli. Basti guardare i dati relativi al declino della città rispetto al resto del Nord Italia.
Ma se la vicinanza eccessiva non gli permette di vedere ciò che succede nella capitale subalpina, Don Ciotti come fa a non vedere le mafie di ogni colore che spadroneggiano a Milano? Non vede, o non vuole vedere per ragioni ideologiche, la mafia nigeriana? Le bande latinoamericane? No, quell’aria lì non sa di mafia. Deve essere un problema di olfatto politicamente corretto.