Ci sono gialli violenti, che grondano sangue. Gialli storici, intimisti, noir, cervellotici. Donatella Mascia ha scritto un giallo gentile. Spiazzante già dal titolo perché “Quel gran signore del gatto Aldo” (Stefano Termanini editore, 262 pagine per 15 euro) potrebbe trarre in inganno. Non è un libro sugli animali e non è il gatto l’investigatore
Le indagini, nel libro di Mascia, le conducono le regolari forze dell’ordine e il gatto Aldo, un gran signore, è una sorta di filo conduttore, di legame tra personaggi e vicenda. Poiché si tratta di un giallo, non ci si può addentrare più di tanto nei particolari, per non togliere il piacere della scoperta, dell’intuizione che sempre accompagna il lettore.
Perché anche in un giallo gentile i colpi di scena non mancano. Tra un’anziana musicista, un giovane suo allievo, il malaffare che in Italia è una costante e che, in questo caso, imperversa per Genova.
La città di Mascia, descritta con estremo pudore, con riservatezza, con divertimento.
Perché lo stile dell’autrice è sempre leggero, anche nei momenti di maggior pathos. Non provoca terrore ma induce ad un sorriso. Nessuna concessione al melenso, sia chiaro. Non siamo alle prese con Carolina Invernizio e neppure con la Signora in giallo. Mascia sa condurre il gioco con maestria, con stile, con un uso sapiente della lingua. D’altronde non è un’autrice improvvisata ed è stata finalista all’Acqui Storia nella sezione Romanzo storico.
In questo caso il gatto Aldo non è un personaggio della storia bensì di una cronaca cittadina dove i cattivi non mancano mai ma dove sono i buoni a prevalere. I buoni sentimenti, le brave persone, le forze dell’ordine che compiono il proprio dovere esistono davvero, anche nella realtà di tutti i giorni. Solo che restano nascosti, che si danno per scontati mentre emergono le violenze, le scorrettezze, i comportamenti ignobili.
Mascia ribalta tutto, racconta l’altra parte del mondo. Sorridendo sempre, come è nel suo stile e nella sua vita quotidiana di ingegnere civile e navale.