È la stagione dei doni. San Nicola, Santa Lucia, Santa Claus ovvero Babbo Natale….e, poi, avanti sino alla Befana… o ai Re Magi, se preferite. Senza dimenticare che, nei paesi dell’est Europa, la notte del 31 passa Dado Moritza. Ovvero Nonno Gelo.
Tutte queste sono figure di portatori di Doni. Non di regali, che sono ben altra cosa, come dice l’etimo stesso. Che rimanda al “re”. Origine spagnola. L’uso dei vassalli, e più in generale dei sudditi tutti, di portare al sovrano dei tributi o omaggi. I “Re-gali” appunto.
Dono, invece, è parola latina. Deriva da “dare”, ed ha la sua, esatta, corrispondenza nel termine greco “dòron”. Già in Omero uno degli atti fondamentali legati al vivere sociale. Anzi, uno dei gesti che tessono i legami sociali. I Doni ospitali. Ma anche quelli offerti agli Dei. E che, talvolta, gli Dei ricambiano. Anche se va detto che non sempre, questi Doni provenienti dai Celesti, portano felicità. La storia di Apollo con Cassandra ne è l’esempio più famoso.
Potremmo, poi, parlare della “economia del dono”. Che è, anch’essa, cosa antica. Di molto precedente l’utilitarismo moderno, che già il Manzoni criticò in un acuto, breve e, purtroppo, dimenticato, saggio.
Visione di un’economia diversa, non incentrata sulla avidità.
Roba vecchia, dirà qualcuno. Superata. Eppure vi è chi ha cercato di recuperarne le linee “morali”, come risposta alla deriva del mondo moderno, in cui stiamo, ormai affogando. Chi volesse saperne di più, vada a leggere gli scritti di Argo Villella. Una grande mente, originale economista. E, appunto, rifiutato da una cultura ufficiale per cui il Grande Economista è colui che distrugge i sistemi di produzione. E, per dirla come un vecchio marxista (cosa che mai sono stato) affama i popoli…
Qui però non è cosa. Qui sto parlando di Doni “altri”. Portati da creature meravigliose. Che vengono dal regno, ai più inaccessibile, dell’immaginazione.. Il Regno delle fiabe, se vogliamo. Tenendo conto, però, che le fiabe sono spiragli su un…altrove di cui ben pochi serbano una qualche memoria. Ben pochi adulti, intendo. Che i fanciulli…. beh ancora non sono stati vaccinati contro la fantasia. Almeno non tutti.
Ora, i bambini si aspettano, da questi personaggi magici, giocattoli, dolciumi e quant’altro. O, per lo meno, questi erano i desideri di un tempo, quando ci si accontentava di molto meno degli odierni Tablet, smartphone, Playstation… Più risaliamo indietro, più tali doni erano semplici. E poveri. Ai tempi della mia bisnonna lombarda, la Bina, che a Natale mi torna sempre in mente, i portatori, là nell’Insubria, erano i Magi che riempivano gli zoccoli di qualche dolciume. E per il resto di frutta secca. Un niente, che però rendeva felici. Molto più dell’odierno pargolo che storce la bocca, perché il modello di smartphone portato da Babbo Natale non è proprio l’ultimissimo…
Erano felici, allora, non per le cose ricevute, ma perché erano un Dono. Giunto per magia. E questo contava davvero.
I Doni sono simboli. Non conta cosa siano o che prezzo valgano. Il simbolo crea un legame fra due dimensioni. Quella della realtà ordinaria e… l’altra. È una porta. Una via di comunicazione fra mondi.
Dunque, spezzano la realtà monotona in cui viviamo immersi. E prigionieri. Sono, in certo qual modo, Miracoli. Operati da creature fantastiche in cui, però, il bambino deve avere fede. Altrimenti tutto svanisce. E ciò che trova sono solo…regali. Ed hanno un prezzo di mercato. Come tutto in questo mondo, ormai.
Sarò un eccentrico, ormai afflitto da Alzheimer, ma cerco sempre di far capire a mio figlio, adolescente ormai, e anche ai miei allievi, coatti e cinici, che farebbero bene a tornare a credere a Babbo Natale. O alla Befana. O a chi preferiscono. Perché questo aprirebbe loro orizzonti ai quali, ora, sono ciechi.
E, nel futuro, avranno sempre piu bisogno di vedere oltre. Di sognare. Di immaginare.
Avranno bisogno di autentici Doni. Che non si comprano su Amazon…