Come credo si sia capito, ho un’autentica passione per “La Vedova Allegra” di Franz Lear. Che volete farci? La musica briosa. L’eleganza. Lo stile. La leggerezza e l’allegria.. Mi prendono e mi seducono.
Pensate alla scena da Maxim. Danilo che si muove, e canta, fra un coro di figure femminili, tutte bellissime. Di straordinaria classe. E con in mano le coppe di champagne… .
Donne e champagne….associazione, oserei dire, canonica per i gentiluomini di un tempo. Per i seduttori in frac e marsina, per i corteggiatori eleganti di eleganti e, all’apparenza, algide dame. Bellissime e irraggiungibili, come le figure di certi quadri del Boldini.
Personaggi dell’immaginario della Bella Epoque. Che sembrano balzare fuori dalle pagine della Recherche. Un amore di Swann. Anche se a Proust piaceva lo champagne, probabilmente. Molto meno, però, le dame…
Comunque lo champagne è, per antonomasia, la bevanda che nell’immaginario si associa alla seduzione elegante. Agli amori leggeri come un valzer. Nulla di volgare. Nulla di…greve. Lo squallido play boy anni ’60 non beve champagne. Whisky. E anche di mediocre qualità.
L’ odierno toy boy neppure quello. Troppo impegnato a mantenere la forma palestrata per concedersi all’alcool. Troppo preso dal proprio aspetto, tutto muscoli e tatuaggi. Un Narciso. Che per di più dal proprio narcisismo trae sostentamento. Una cosa veramente…triste.
Danilo, che offre champagne alle ragazze di Maxim, è tutt’altra cosa. È allegria. Gioia di vivere. Eleganza e gusto per il bello. Un mondo ormai scomparso. Le nuove élite – se così vogliamo chiamarle – ragionano in termini quantitativi. Non qualitativi. Sono, irrimediabilmente, volgari. E profondamente plebee. La classe non ha nulla a che fare con il conto in banca. O con il possesso della banca stessa.
Quel mondo o il suo sogno, è ormai svanito. Resta lo champagne.
E qui si potrebbe aprire un vero e proprio dibattito. Anzi, un contenzioso. Perché, certo, lo champagne ha un grande nome. E certi marchi fanno storia. Però vi sono altre bollicine, con altri nomi, di qualità decisamente non inferiore. Anzi…
Spumanti, o bollicine che dir si voglia, ve ne sono, in Italia, di ottimi. Spesso, ormai, superiori al “modello” francese. A partire dal Piemonte. Terra di grandi vini. Rossi soprattutto. E la mente corre al Barolo, ovviamente. Ma anche de grandi spumanti. Per tacere, poi del Franciacorta. Che, unico sul versante cisalpino, può fregiarsi del titolo di champagne…
E poi c’è il Veneto, il Friuli. E le rocciose colture del Trentino. Che però danno uve perfette per dei brut di grandissima qualità.
E poi noi abbiamo una tradizione di bollicine tutta nostra. Vinificate con sistemi tradizionali. Spesso antichi, di tradizione contadina. Mi spiace di non essere un esperto enologo, e di non potermi spiegare meglio. Ma, in fondo, non serve. Chi non ha mai bevuto un calice di prosecco? Per il quale va giustamente famosa la veneta Valdobbiadene. Che, per altro, è anche un piccolo paradiso gastronomico. Ho ricordi favolosi di quando, bambino, andavo a trovare i miei nonni. Che, appunto, a Valdobbiadene trascorrevano i mesi caldi. Godendo della calma frescura delle colline. E allora si andava tutti insieme a mangiare in una trattoria del centro. Ed era gran festa…
Ma vi sono eccellenti prosecchi anche in Trentino. Come potrebbe confermare il nostro direttore. E poi altri vini, diciamo così, frizzanti.. Uno fra tutti, il Pignoletto. Poco noto, è però un DOCG, prodotto in un fazzoletto di terra collinare, in parte montuosa, intorno a Bologna. Da Sasso Marconi a Casalecchio. È amabile, frizzante. Un vino allegro. Piace, come il prosecco, soprattutto alle Signore.
Certo, sono vini da aperitivo, più che da pasto. E davanti ad un fumante bollito con le salse, o a del pesce, che so un rombo al forno con patate, o anche a delle saporose tagliatelle col sugo di lepre, a quasi nessun uomo verrebbe in mente di ordinare bollicine. Rossi corposi. I bianchi fermi.
Però…pensate al principe Danilo. Guardate bene la signora di fronte a voi. E, per una volta, ordinate una bottiglia di prosecco. O di Pignoletto.
Un po’ di leggerezza, un sorriso, un momento di allegria… valgono più delle regole canoniche del bere.
Di che parlo? Di vini? Di gastronomia? Non sono, come dicevo, un enologo. Né un gastronomo.
In realtà sto parlando di un modo, o forse solo del sogno, di evadere, per un momento, dalla volgarità del tempo presente.
E sentire, con la fantasia, suonare un valzer di Lear.