Milano fashion week? Macché! A Mosca arrivano i marchi iraniani della moda. Non è un errore di battitura: proprio iraniani, non italiani. Intimo Rasoul e Hassan, jeans Alireza, camicette Samira. Secondo Agcnews sarebbero una ventina i marchi di Teheran pronti ad invadere i negozi di abbigliamento russi. Ed uno dei produttori ha già ottenuto commesse per 15 milioni di dollari. Ovviamente da versare in valute diverse da quella statunitense.
A prima vista può sembrare una notizia frivola, quasi banale. Non è così. Perché, in realtà, è la dimostrazione che il mondo non atlantista – cioè la maggior parte del mondo, con oltre 6 miliardi di persone – sta infine imparando la lezione occidentale sul soft power. Il mondo non si conquista solo con le armi, ma imponendo la propria visione in ogni ambito. Un processo culturale prima ancora che economico.
Una lezione che Mosca non ha mai voluto imparare ed inevitabilmente si ritrova ridotta da potenza mondiale a potenza regionale, dipendente dagli umori di Pechino e Nuova Delhi. Ha preferito dimenticare Cecov e Tolstoj, Dostoevskij e Solzenicyn per puntare su oligarchi ignoranti e cafoni. I risultati non sono stati proprio entusiasmanti.
L’Iran, al di là della narrazione atlantista, ha scelto la strada opposta. E le donne, nelle università, sono più numerose dei maschi. I droni che Mosca utilizza con successo sono iraniani, le tecnologie avanzate non mancano. Ed ora Teheran sbarca anche nella moda. Non con il chador, ma con abbigliamento in concorrenza con quello occidentale. Poco importa se agli atlantisti non piacerà, se susciterà ilarità. Ci sono più di 6 miliardi di persone da conquistare. E se anche solo il 10% approdasse ad un ceto medio con una decente capacità di spesa, il successo delle iniziative di soft power sarebbe assicurato. In realtà ben più del 10% potrà permettersi queste spese tra Asia, Africa ed America latina.
Solo pochi anni orsono i designer italiani che creavano auto per il mercato cinese erano invitati a caratterizzare i prodotti con lo stile italiano. Ora sono i cinesi ad essere pronti ad invadere i mercati occidentali con auto che rispecchiano lo stile, e dunque l’anima, di Pechino. Una lezione per i cialtroni impegnati nella cancel culture su entrambe le sponde dell’Atlantico. Il Celeste Impero riscopre le sue radici, gli atlantisti le negano e le bruciano in nome del politicamente corretto.
Anche in Italia. Dove la destra fluida di governo è arrivata al governo sulla scia dello slogan tolkeniano “Le radici profonde non gelano”, salvo poi accorgersi che non gelano non perché siano profonde ma semplicemente perché non esistono più.