Il 4 Novembre è ormai passato. In sordina, come avviene da anni, anzi decenni. Questa “repubblica” – espressione che il mio vecchio professore di Greco, monarchico, usava come sinonimo di caos…o peggio – ha altre feste, sue, da celebrare. Contenti loro…
Però del 4 Novembre, pure derubricato a giorno ordinario, di scuola e lavoro, qualcuno fa ancora finta di ricordarsi. Il Presidente va a fare un giretto dalle parti dell’Altare della Patria, e, visto che c’è, lascia lì una corona di fiori…così, un po’ alla chetichella…per non offendere sensibilità pacifiste…
Il Papa va a dire messa in un Cimitero di Guerra. Ma sbaglia guerra e sbaglia cimitero. Perché il 4 Novembre dovrebbe (condizionale d’obbligo) essere ricordata la I Guerra Mondiale. Per inciso, l’unica che abbiamo vinto… Tant’è che veniva chiamata Festa della Vittoria. Ora non si può più. Sarebbe politicamente scorretto.
Per di più il Papa se ne è andato in un cimitero di guerra francese… Vabbè, si dirà, il Papa è Papa di tutti…anche se, essendo in primis Vescovo di Roma, magari una benedizione a un cimitero di caduti italiani, che so Redipuglia, poteva pure andare a darla… così magari vedeva un po’ d’Italia…
E poi quello era un cimitero di goumiers. Ovvero di truppe marocchine al soldo dei francesi. Proprio quelle rimaste famose non per le imprese belliche, ma per gli stupri di massa perpetrati nelle nostre città, da Montecassino in su.
E poi, reverendo Bergoglio, forse qualcuno le avrebbe dovuto ricordare due cose. I goumiers non erano i da Lei tanto amati migranti. Erano invasori e mercenari. Ed erano musulmani. Andando a dire messa sulle loro tombe non li ha onorati. Li ha, piuttosto, offesi…
Comunque, il 4 Novembre è passato. Diversi post sui Social. Chi inneggia alla Vittoria come simbolo dell’unità nazionale. Chi, all’opposto, la depreca. Per la stessa ragione. Un’unità che viene sentita come imposizione. Come conquista. E ricorda quegli “italiani” trentini, friulani, Dalmati, istriani, che combatterono dall’altra parte. In Galizia, sui Carpazi…con la divisa dell’imperial regio governo. In genere dimenticati. Anzi, abrasi dalla memoria storica nazionale… Vecchia querelle, che si riaccende sempre in certe date. E che lascia, ormai, il tempo che trova.
Io ho sempre stentato a schierarmi su questo tema. Non ho la natura del tifoso. Ed ho amici, che stimo, su entrambi i versanti. Sono cresciuto in quello che veniva chiamato il “culto della Patria”. Oggi suona retorico, lo so. E anche alquanto stonato. Ma aveva una sua poesia. E una sua bellezza. Le letture di un’infanzia ancora non lesa dai media e dai Social. “Cuore” di De Amicis. “Il piccolo alpino” di Salvator Gotta…che poi aveva scritto anche un seguito, abiurato e cancellato. Perché il Piccolo Alpino, ormai un po’ cresciutello, andava ad una certa Marcia….
Comunque, erano letture formative. E qualcosa, dentro, me l’hanno pur lasciato. Tant’è che se sento le note del Piave, ancor oggi vengo afferrato da una sorta di struggimento. E non me ne frega niente se si pensa che sia sentimentalismo nostalgico. Perché capisco bene Peppone, il sindaco comunista di Guareschi, che, mentre sta tenendo un comizio contro la guerra, sente l’inno del Piave. Che sta suonando quella carogna di don Camillo dal campanile. E allora si dimentica tutto. La lotta di classe e Marx, il PCI e l’internazionale. E si lancia in un’apologia della Patria e dei fanti italiani. Chiudendo con un meraviglioso “Viva il Socialismo. Viva il Re!”
Poi, naturalmente, sono venuti altri libri. E ho cominciato a capire che non tutto era oro ciò che luccicava. Ho capito le ragioni degli “altri”. Di quelli che avevano perso. Dei vinti del Risorgimento, di cui la Grande Guerra ero stato abituato a considerare come il sigillo.
Le ragioni dell’Alfiere di Alianello, che difende lo stendardo delle Due Sicilie sino a Gaeta. E quelle dei Briganti del Sud. Le ragioni dei marinai che, a Lissa, portarono alla vittoria la flotta asburgica, al grido “Viva San Marco!”. E le ragioni di chi visse e combattè la Grande Guerra in divisa bianca. Pur essendo italiano. E perdendo.
Già, perché anche quelli erano italiani. Anche se si trovavano dal lato sbagliato della Storia, come dicono quelli che hanno sempre la verità in tasca…
Ma io non credo nella Storia. Credo negli uomini e nelle loro storie.. E nelle storie dei popoli. Dove non ci sono ragioni giuste e ragioni sbagliate, parti giuste o errate a priori. C’è un unico distinguo che conta davvero. La fedeltà alla parola data. Il senso dell’onore.
Lo so, lo so…suona anche a me retorico. Perché siamo disabituati a parole come “fedeltà” e “onore”. Non le possediamo più. E, come dice Hegel, chi ha la parola ha l’idea. E viceversa.
Comunque, il mio 4 Novembre è un giorno di fantasmi. Come è naturale, visto che viene, guarda caso, a ridosso di Ognissanti e dei Morti.
Sono i fantasmi di coloro che sono caduti in guerra. Non importa in quale. E sono caduti con onore. Fedeli alla loro divisa. Alla loro bandiera. Quale fosse, non ha importanza. Erano, comunque, italiani…