Il professore di Lucca, trattato come uno strofinaccio da uno studente, con tanto di filmato e di risate del resto della classe è una metafora. Quel povero sessantenne umiliato, mestamente risoluto a non reagire alle offese di una mezzasega in maglietta, che si lascia insultare, nonostante l’età, la laurea, la posizione, è la precisa metafora della scuola italiana.
Oggi, la scuola è lui: è quel signore che attende solo di andare in pensione per liberarsi da un lavoro che è diventato un incubo, che non riesce a comprendere e che non sa dominare.
Perché decenni di continua demolizione della figura dell’insegnante, di imbarbarimento degli studenti, di eccessivo spazio dato ai genitori, di progressiva inadeguatezza dei dirigenti, dei programmi, della gestione minima degli istituti, non potevano che portare a questo. Alla jungla, al Bronx: alla plebe che monta in cattedra e fa la sola cosa di cui è capace, ossia manifestare la propria trogloditica prepotenza.
Cosa avrebbe dovuto fare quel pover’uomo? Rovinarsi a due anni dalla giubilazione per un soprassalto di dignità?
Forse, tanti anni fa, avrebbe potuto accadere: ma, oggi, i professori sono troppo adusi a chinare il capo, ad inghiottire anche i più amari bocconi, ad essere trattati come dei pezzenti multitasking, gettati in trincea a tappare i buchi di un ridicolo stato sociale. Dove avrebbe dovuto trovare, il professore lucchese, le energie per reagire: per prendere il teppistello per il petto e ricacciarlo al suo posto, in fondo alla scala sociale? Dove predicano le pecore non nascono i leoni, miei cari.
In questa Italia smidollata, di renitenti, di obbedienti, di accoglienti e di perdenti, la scuola è, ormai, solo una fabbrica di squallore. Leggi agli studenti del Conte Ugolino e ti accorgi che, per loro, vale quanto il fidanzato della Pezzopane al Grande Fratello.
E, allora, che volete: cosa cercate dalla scuola?
Dove eravate quando la demolivano con bischerate formidabili, a colpi di decreti, per mano di esperti che non erano mai entrati in un’aula e teorizzavano idiozie gigantesche, che provveditori e presidi digerivano come fossero bignè?
Adesso vi svegliate e vi accorgete che gli insegnanti sono pavidi, impreparati, inadeguati, socialmente irrilevanti, privi di autorevolezza.
Perfetto, la ricetta è una sola: una colossale, radicale, controriforma. Ritornare al vecchio, lasciandosi dietro i molti limiti della scuola gentiliana, come il classismo, la rigidità, il formalismo: ma restituire centralità all’educazione e risbattere la maledetta istruzione nelle latèbre del funzionalismo e del materialismo.
La storia ha sconfitto il comunismo ed è tempo che ne sconfigga anche le manifestazioni educative: quell’idea di scuola che è solo figlia dell’idea di uomo-ingranaggio. A casa i soloni del MIUR che non ne hanno azzeccata una in decenni: a casa i direttori, gli ispettori, l’esercito di disutili che s’ingrassa sulla carestia culturale e materiale della scuola.
Si torni alla disciplina, al rispetto, dotando i docenti di strumenti efficaci: non quelle inutili ridicole note, di cui tutti gli studenti si fanno beffe. Si restituisca agli insegnanti quel che tanti anni di politici vergognosi, e di sindacalisti che gli hanno tenuto il sacco, è stato loro rubato. Così, draconianamente, si deve fare, se si vuole salvare la civiltà di questo Paese.
Altrimenti, si sappia che il prodotto delle buone scuole, delle riformine, dell’accoglienza e dell’inclusione, del perdonismo, sono poveri docenti tremebondi, più inetti di Zeno Cosini e più piagnucolanti di Sergio Corazzini. Uomini stanchi e disperati, che non sanno neppure più difendere la propria dignità personale con un liberatorio, sacrosanto, ceffone sulla faccia del piccolo, miserando Franti di turno.
1 commento
Ottima analisi! Ma mi chiedo: dove sono finiti gli insegnanti che inneggiavano alla Buona Scuola? E quelli che si sottomettevano, non di rado plaudenti, a qualsiasi insulsa modifica? Oggi tacciono forse perché si sentono responsabili di questa degenerazione? Io penso proprio di sì!