Quando gli uomini erano uomini. Ed anche i letterati, anzi soprattutto loro, erano uomini. Veri. Vedo la foto di un vecchio duello. Due uomini spada in pugno che si affrontano. L’atteggiamento sfrontato. Deciso. Un terzo uomo, sullo sfondo, assiste seduto. Le gambe accavallate. Foto in bianco e nero, dell’8 Agosto 1926. Mi colpisce. Non perché i duelli fossero cosa eccezionale al tempo, certo erano proibiti da lunga pezza, addirittura dall’epoca dei Tre Moschettieri di Dumas. Ma continuavano. E poi, il Fascismo era tollerante su questa, tradizionale, prova di onore e di virilità. La polizia chiudeva un occhio. Spesso anche tutti i due.

Quello che mi colpisce sono i protagonisti ritratti, anzi fermati nel tempo dalla fotografia. Massimo Bontempelli e Giuseppe Ungaretti. E lo spettatore seduto è Luigi Pirandello. Anche perché il luogo del duello è il giardino della sua dimora romana.
Leggo la didascalia. Causa della disputa: insanabili divergenze in campo letterario.
Ed ovviamente il paragone col tempo presente è inevitabile. Istantaneo. A tutto scapito del presente.
Ora, qualcuno potrebbe stupirsi. Anzi, trasecolare. Come… questi andavano ad incrociare le spade per una roba… per una disputa letteraria? Ma che, erano matti?
Matti… piuttosto davano ben altro peso all’arte, alle lettere… Vivevano con passione. Con intensità ciò che facevano e pensavano. Ed erano pronti a sostenerlo. Con decisione.
Duelli di questo tipo non erano infatti cosa insolita. Malaparte, carattere fumantino, si battè più volte. E, come si può vedere, anche un poeta di indole ben più riservata e riflessiva come Ungaretti non vi si sottrasse.
Non parliamo, poi, delle risse. Poeti, pittori, letterati erano dei baruffanti veloci di mano. E le discussioni di estetica non di rado finivano a cazzotti. O peggio.
Memorabile quella che Prezzolini rievoca nei suoi Diari, e che fu all’origine del Futurismo fiorentino. Soffici, Ardengo, poeta pittore e critico formatosi a Parigi, nei grandi Ateliers di inizio secolo, aveva scritto una stroncatura di Boccioni. E Boccioni l’aveva presa male. Così saltò sul treno a Milano, in compagnia di Marinetti, Carrà e Russolo. In pratica l’élite del Futurismo Milanese. E gli allegri compari se ne scesero a Firenze, che non era viaggio da poco. Parecchie ore sulla vaporiera… mica vi era l’alta velocità… Era il 30 giugno del 1911.
Soffici se ne stava seduto ad un tavolino delle “Giubbe Rosse”. Caffè straordinario, luogo di memorie che ha animato la vita culturale italiana. Oggi ridotto allo squallore dei pasti precotti per turisti. Anzi, oggi come oggi, chiuso.
Comunque i milanesi si avvicinano e gli chiedono “Scusi, lei è Soffici?”. E subito parte il primo ceffone. Forse da Marinetti.
Soffici era famoso non solo per la sua cultura e per la scrittura innovativa. Ma anche per come sapeva utilizzare l’inseparabile (per un gentiluomo) bastone da passeggio. Leggete il suo “Lemmonio Borreo “. Vi è molto di autobiografico.
Per farla breve volano tavoli e legnate. Ma Soffici è uno contro quattro. E le prende sonore.
Il mattino seguente, però, i milanesi sono in stazione per il treno del ritorno. E balzano fuori Soffici, insieme a Papini e Prezzolini stesso, che ci ha raccontato l’episodio. Altra rissa. Durante la quale Prezzolini arriva a mordere Marinetti sul cranio pelato. A mo’ di Conte Ugolino.
Poi tutto finisce a pranzo, con la mediazione di Palazzeschi. E nasce il Futurismo fiorentino.
Ora, ve li vedete voi gli odierni intellettuali alla moda in una situazione consimile? Che so, un Saviano, un Baricco… uno Scanzi?
Paragone insostenibile. Questi frignano dal loro attico newyorkese per timore di un paio di fasulle minacce di altrettanto fasulli malavitosi… O implorano di saltare la fila per il vaccino, terrorizzati dal virus cattivo. E scrivono come sono. Ovvero privi di nerbo. Mestieranti al servizio del migliore offerente…

Quelli, i Soffici, i Marinetti, gli Ungaretti… andarono volontari nel carnaio del Carso e dell’Isonzo. Boccioni ci rimise la pelle. Erano grandi artisti, certo. Ma erano sopratutto Uomini veri. Di cui oggi si è perso lo stampo. Vivevano le loro idee. La loro arte. Non erano vuoti involucri di astrazioni cervellotiche e veicoli di banalità alla moda. Cambiarono la cultura italiana. E l’Italia stessa. Oggi, invece… basta guardare lo stato delle, cosiddette, patrie lettere, per comprendere la differenza.
1 commento
Quel duello a casa di Pirandello,mi ricorda quello finale che chiude uno dei famosi drammi dello scrittore,”Il giuoco delle parti”, un capolavoro rivisto un anno fa(ne avevo un vago ricordo di quando ero bambina), proprio di questi tempi.Poi,la distopia che si è abbattuta come una forma di guerra, mi ha costretta a seguire ben altri eventi,per tentare difendermi.Ma,in veritá,le mie armi di difesa,nascono proprio dai letterati,dai filosofi,dai poeti, da chi ci insegna a riconoscere le maschere e a vedere oltre,chi ci insegna ad allenare la mente e prima il cuore,fino ad essere una cosa sola.