A volte riappaiono. Riappaiono, non ritornano, perché in realtà non se n’erano mai andati. Così i combattenti e reduci di quello che fu il Sistema Torino si ritrovano a pranzo al ristorante interno dell’hotel Sitea, nel centro della città, per vedere cosa si può fare per salvare la capitale subalpina dai politici che l’amministrano. Hanno anche inventato un nome per il loro gruppo: Dumsedafe, ossia diamoci da fare.
Intorno a vitello tonnato ed agnolotti, con l’accompagnamento di un buon rosso piemontese, si riunisce una realtà estremamente eterogenea. Tra gli invitati, da Piero Gola, figurano destri ed ex destri come Marrone ed Arrigotti, come Porchietto e Tiraboschi. E sinistri come Griseri e Borghesan, come Gariglio ed Oliva. Un ex sottosegretario (Giachino), Rai e Mediaset (Ponzi e Gandolfo) e poi una infinità di esponenti dell’industria e delle professioni, da Quaglia a Gherzi, da Anetrini a Zangola.
Peccato che all’infinità di invitati corrisponda una certa scarsità di adesioni. Prive, tra l’altro, di una adeguata costanza. Molti sono i chiamati, pochi gli eletti. Gente che va, gente che viene, d’altronde siamo in un Grand Hotel. Magari si affaccia il notaio Ganelli – vero protagonista della politica e dell’economia subalpina, ma come regista che evita la ribalta – a volte compare l’inossidabile Picchioni.
Anche in politica l’oscillazione è di pragmatica. Tra gli invitati figura Paolo Damilano, ma Ganelli è stato il grande sponsor ed il grande elettore del sindaco Lo Russo. Non c’è nulla di male. Anzi, più si discute tra parti avverse e meglio è. Purché ci sia davvero qualcosa da dire, qualcosa da proporre. Dumsedafe è un invito a lavorare, ma occorrerebbe farlo intorno ad un’idea, ad un progetto. Non soltanto intorno ad una battuta di fassone o alla panna cotta. E con la presenza non dei veri protagonisti ma solo dei comprimari in cerca di visibilità e di contatti.
Perlomeno, in mancanza di iniziative concrete per la città, la riunione periodica del Sitea conferma un trend che riguarda quasi tutte le iniziative analoghe (non tutte) a Torino. Le riunioni a tavola si organizzano per pranzo e non per cena. Pranzi rapidi, poche portate, per poi tornare velocemente al lavoro. Le serate sono lunghe e, dunque, rischiose. I pranzi sono più in linea con l’etica del lavoro subalpina. Ma, soprattutto, a cena ci si ritrova in gruppi molto più ristretti e compatti. Dove la collaborazione travalica nell’amicizia e rende tutto possibile. Per se stessi, ça va sans dire, mica per Torino.