Tra le cancellerie internazionali che non si sono ancora congratulate con il neo presidente degli Stati Uniti d’America, Joe Biden, vi sono grandi e medie potenze come Cina, Russia, Brasile e Turchia. La scusa ufficiale è che Trump non ha ancora ammesso la sconfitta e ha avviato un’offensiva legale. Una simile prudenza da parte di interlocutori così importanti cela, però, motivazioni molto più profonde. La sfida principale per ogni nuovo presidente degli Stati Uniti: definire una “politica cinese”. Il rapporto tra Washington e Pechino, infatti, è il fulcro delle relazioni internazionali del ventunesimo secolo. In Cina Xi Jinping pone l’accento sull’autosufficienza tecnologica, convinto che il miglioramento dei rapporti sia lontano e che gli Stati Uniti si trovino in una fase di decadenza.
Quelle della Cina e di altre potenze mondiali sono assenze pesanti: si parla di grandi e medie potenze che con l’amministrazione Trump hanno avuto un rapporto complicato, dalla Russia alla Turchia e al Messico. C’è chi ritiene che l’esito del voto possa ancora essere ribaltato dall’offensiva legale del presidente uscente, secondo il quale i democratici hanno strappato la vittoria a suon di brogli.
Quasi tutti gli analisti ritengono però che Biden, pur con toni più pacati, continuerà la politica di contrasto alla crescente influenza cinese nel mondo. Lo scenario conflittuale del post voto in USA è innegabile.
Intanto il procuratore generale USA, Bill Barr, ha concesso ai pubblici ministeri federali l’autorizzazione ad avviare indagini sulle presunte irregolarità nel voto, dopo che Donald Trump ha affermato di aver perso le elezioni presidenziali a causa di una frode. Barr, a lungo uno strenuo difensore di Trump, ha sottolineato che la sua mossa non significa che il Dipartimento di Giustizia abbia in mano prove a sostegno della tesi del Presidente, ma ha liberato i pubblici ministeri dalle precedenti restrizioni su indagini di questo tipo.
Barr in una nota scrive: “Dato che il voto è ormai concluso, vi autorizzo a portare avanti indagini su casi di irregolarità nel voto e nel conteggio dei voti prima della certificazione delle elezioni nelle vostre giurisdizioni”. Le indagini sulle frodi di voto sono normalmente di competenza dei singoli stati, che stabiliscono e controllano le proprie regole elettorali.
Una decisione che ha portato alle dimissioni di Richard Pilger, alto funzionario del Dipartimento di giustizia responsabile delle indagini sui brogli elettorali.