“…E mi avvio alla conclusione..”. “Ancora un punto da chiarire prima di concludere..”. “E sto per concludere..”. “Adesso concludo davvero..”. “Ed ora chiudo..”. Al quinto annuncio, non rispettato, di imminente fine dello sproloquio che annoia il pubblico, la tentazione è quella si salire sul palco e tappare fisicamente la bocca al relatore o alla relatrice. I pacifisti si limiterebbero a staccare la spina del microfono. Oppure contatterebbero la mamma del logorroico per chiederle quali errori sono stati commessi nel corso dell’educazione del pargolo.
Perché non rispettare, sistematicamente, i tempi previsti nell’ambito di un convegno è, innanzitutto, una questione di buona educazione totalmente ignorata. E di rispetto, altrettanto ignorato. Oltre che di scarsa capacità e professionalità. Perché un bravo relatore è in grado di illustrare il senso della Divina Commedia in 5 minuti. Mentre uno scarso ha bisogno di mezz’ora per spiegare come si infila le pantofole.
La fine degli arresti domiciliari di massa ha scatenato i logorroici che si sentono in diritto di recuperare. Perché le call consentivano agli ascoltatori di alzarsi, di farsi un caffè, di andare in bagno. Ora, invece, li hanno in pugno, davanti a loro, bloccati sulle sedie.
Ma anche tra il pubblico ci sono quelli in carenza da lungaggini. E si scatenano con domande inutili precedute da interminabili, ed altrettanto inutili, premesse. Si innamorano del suono della propria voce e non mollano più il microfono.
Senza dimenticare la variante degli interventi programmati di qualche ospite seduto tra il pubblico: “Tranquilli, non solo non abuserò dei pochi minuti che mi sono concessi, ma ne utilizzerò solo una minima parte. Dunque non parlerò dell’argomento X, a cui faccio solo un accenno” che, immancabilmente, occupa l’intero tempo a disposizione prima di cominciare ad affrontare il tema previsto che occupa molto più del tempo previsto complessivamente.
E se chi presiede il convegno si permette di intervenire per metter fine all’orgia di parole, scatta la polemica, il risentimento, l’espressione offesa della vittima di un intervento che limita la libertà di espressione.
Come diceva quel tale, “quando sento parlare di <mi avvio alle conclusioni> la mano corre alla fondina”..