Miracolo revisionista di Silvia Gigli sul Quotidiano nazionale. Dedica un lungo articolo alle foto di George Simenon – sì, proprio lo scrittore creatore del commissario Maigret – e lo trasforma in una figurina politicamente corretta. Cioè l’esatto contrario di ciò che è stato Simenon.
Attraverso le foto degli ultimi viaggi trapela un senso d’inquietudine: nel ’36 la guerra civile in Spagna, nel ’38 l’annessione dell’Austria alla Germania, nel ’39 l’invasione nazista della Polonia e l’inizio della II guerra mondiale.
È l’epilogo di un mondo in crisi di cui il Simenon ha scritto nei suoi reportage. Il viaggio nell’Est sovietico e nel Mar Nero gli ispirò un servizio per Le Jour intitolato Gente affamata ma anche immagini penetranti di una miseria da strada. A Vilnius fotografò il mondo spazzato via dai nazisti: i ghetti ebraici svuotati, le case dimesse, i bambini tristi.

Chissà se qualcuno ha spiegato all’autrice che, dopo la fine della guerra, Simenon ha dovuto andare in esilio poiché considerato un collaborazionista. Troppo scomodo raccontare questi particolari? Troppo scorretto raccontare le epurazioni e gli omicidi commessi dai resistenziali?
D’altronde se si trasformano gli avversari in mostri, diventa difficile conciliare il cattivo scrittore collaborazionista con il bravo fotografo carico di interesse per il prossimo. Com’è possibile che il fascista Simenon fosse così attento agli ultimi, ai disperati, agli africani? Bisognerebbe cambiare radicalmente la narrazione sui fascisti francesi, sui collaborazionisti, sugli intellettuali filotedeschi e filoitaliani. Servirebbe troppo coraggio. Troppa onestà.
Ed allora è meglio glissare su certi trascorsi, su certe idee. E trasformare Simenon in una sorta di resistente della prima ora. Crosetto apprezzerà.
1 commento
Simenon non è mai stato un fascista, e le accuse di collaborazionismo sono cadute nel nulla (e ai quei tempi, in Francia, non si scherzava su queste cose)