A volte ritornano. La guerra in Ucraina ha obbligato a riscoprire il concetto di geopolitica. Ed ora il Corriere rilancia anche “soft power”. Ovviamente per accusare Putin di aver distrutto, con il conflitto, il soft power russo. Va bene che ormai anche la mancanza di pioggia è colpa del leader del Cremlino, però quando si vogliono lanciare attacchi bisognerebbe almeno conoscere il bersaglio. Soprattutto quando, come in questo caso, la critica è più che legittima.
Ma il soft power russo è stato distrutto da Putin molto prima della guerra. In realtà non è stato distrutto bensì profondamente modificato. In peggio. Molto in peggio. Ed è semplice ipocrisia da pseudo intellettuali organici sostenere, adesso, che in Italia (e nel resto del mondo) non si leggerà più Dostoevskij a causa della guerra. Perché la verità è che non si leggeva neppure prima. Gli autori russi, da Tolstoj a Cechov non erano certo le prime scelte – e neppure le seconde o le terze – di un pubblico che si appassiona a Fabio Volo o Roberto Saviano.
In fondo Putin non aveva fatto altro che adattare il soft power russo al livello del pubblico occidentale da raggiungere. Mega yacht degli oligarchi, champagne, caviale e donne disposte a tutto pur di far parte di questo mondo falso e dorato. In fondo lo show offerto dai ricchi russi era solo più sfarzoso, molto più sfarzoso, di quell’immondizia televisiva dei reality proposti in Italia.
D’altronde non è che il soft power degli atlantisti sia di qualità migliore. Altri show, altro sesso, la droga al posto della vodka e dello champagne, cibo spazzatura al posto del caviale. Lo schifo è il medesimo, l’unica differenza è che gli statunitensi sanno vendere molto meglio le proprie schifezze. Hanno riflettori perennemente puntati sulle loro prestazioni erotiche, sui loro litigi, riappacificazioni, nuovi film, nuovi contratti. Il soft power yankee è Hollywood, non più Kerouac. È Taylor Swift, non Marcuse.
Ed è abbastanza ipocrita far finta, oggi, che il pubblico occidentale abbia deciso di fare a meno di autori russi di cui non ha mai sentito parlare. Così come non ha mai sentito parlare di Steinbeck e di Mark Twain. Quanto al “mondo intero”, i chierici atlantisti dimenticano – e non per caso – che metà del mondo non ha aderito alle sanzioni imposte dal petomane di Washington. Anche se è vero che il fascino della spazzatura hollywoodiana è nettamente superiore a quello dei mega yacht degli oligarchi russi, anche nei Paesi che continuano a preferire Putin.