Prosegue il confronto su Ideario 2023 e la cultura alternativa. Oggi interviene Giorgio Ballario, giornalista e scrittore, autore dei gialli coloniali dedicati al maggiore Morosini
L’articolo del direttore Augusto Grandi e il successivo intervento di Fabio Meloni, direttore artistico del festival Ideario22 di Cagliari, hanno avuto il merito di aprire un dibattito interessante sul tema della cultura non conformista (o più banalmente, non di sinistra), che tuttora stenta a far sentire la propria voce benché a Palazzo Chigi ci sia il primo vero governo di destra-centro (e non centro-destra) dell’Italia repubblicana.
«No, il dibattito no!», supplicava Nanni Moretti in un film di molti anni fa. Ma quella era per l’appunto un’altra Italia ed era un altro ambiente politico, assuefatto ormai a dibattere e spaccare il capello in quattro su qualsiasi argomento, anche il più insignificante. Invece, in questo caso, viene voglia di gridare: «Sì, il dibattito sì!», perché per troppi anni nell’area della cultura non conformista, o identitaria, o di destra (tutti termini generici e per certi versi insufficienti a descriverla), si è discusso poco e soprattutto si è fatto pochissimo per mettere in rete le iniziative più o meno individuali o di gruppi piccoli e volenterosi.
Non è che siano mancate le idee, le analisi, i progetti. È mancata la capacità di mettere in comune le varie proposte e rilanciarle a livello nazionale, con un disegno organico e la consapevolezza di poter costituire un’alternativa alla cultura di sinistra che con il passare degli anni ha via via stinto il rosso iniziale per indossare altri colori (europeismo, globalismo, diritti individuali e talvolta individualistici, promozione ossessiva delle minoranze, ossequio al politically correct). Ed è completamente caduta nel vuoto la proposta, avanzata ormai quarant’anni fa dalla corrente di pensiero guidata da Alain de Benoist (e in Italia da Marco Tarchi), di dar vita a un “gramscismo di destra” in grado di incidere in profondità laddove si forma la vera cultura di una nazione: scuola, università, editoria, giornali, televisioni, internet, tempo libero, intrattenimento.
I motivi di questo fallimento sono molteplici, a cominciare dai limiti degli stessi intellettuali non conformisti, spesso troppo individualisti, talvolta poco duttili e quasi sempre incapaci di fare squadra. Tuttavia sarebbe ingiusto addossare tutte le colpe a loro: negli ultimi ventotto anni, da quando cioè il primo governo Berlusconi aprì le porte delle istituzioni anche a chi ne era stato sempre escluso, sono clamorosamente mancati due pilastri indispensabili alla formazione di un’egemonia culturale: la sponda politica e quella imprenditoriale.
Sul versante politico, l’impressione è che, a cominciare dai piccoli Comuni per arrivare fino al governo nazionale, si sia sempre privilegiato un assessorato al Bilancio o ai Lavori Pubblici (e relativi ministeri) a quello della Cultura. E che, anzi, a occupare quel posto si sia mandato in più sfigato della compagnia, come da ragazzini si mandava in porta quello che giocava peggio a pallone. Non si spiega altrimenti come Comuni importanti a livello nazionale e molte Regioni amministrate da tempo dal centro-destra (tra le quali l’intero Nord Italia: Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia, più di recente anche la Liguria) non siano state in grado di partorire uno straccio di strategia comune in campo culturale, affidandosi alle iniziative più o meno sporadiche di volenterosi assessori.
Un esempio concreto? La Regione Piemonte è tra i principali finanziatori del Salone del Libro di Torino, la più importate manifestazione nazionale dell’editoria. Eppure il direttore è di solito un intellettuale di area Pd e il programma sembra partorito dalla triade Fabio Fazio, Michela Murgia e Roberto Saviano: scrittori e colossi editoriali organici alla sinistra, grande spazio a personaggi televisivi (che sono poi gli stessi che vanno in tv da Fazio), ospiti internazionali coperti e allineati al verbo globalista, cancel culture e arcobaleno. Tanto che la presenza di Michel Houellebecq nel 2021 è stata la classica eccezione che ha confermato la regola. L’attuale direttore, Nicola Lagioia, resterà in carica fino a marzo del 2023 e sono stati aperti i bandi per scegliere il successore; però, guarda caso, i nomi più accreditati rimangono rigorosamente schierati a sinistra: Paolo Giordano ed Elena Loewenthal in pole position. Se la Regione Piemonte avesse il coraggio di voltar pagina potrebbe ad esempio usare il proprio peso per sostenere una candidatura come quella di Giuseppe Culicchia, noto scrittore che si è sempre smarcato dalle etichette politiche, ha un profilo autorevole (pubblica per le major dell’editoria ed è da tempo consulente della fiera libraria torinese) e negli ultimi anni ci ha regalato perle di cultura non omologata come il bellissimo e coraggioso “E finsero felici e contenti. Dizionario delle nostre ipocrisie”, un vero manifesto contro il politically correct.
Va però aggiunto altro: le istituzioni politiche, se anche volessero (e spesso non vogliono), da sole potrebbero comunque fare ben poco. Soprattutto se le leve del potere dell’industria culturale italiana privata (case editrici, giornali, televisioni, società di produzione televisiva e cinematografica…) restano saldamente nelle mani di persone che per convinzione, formazione culturale e interesse guardano a sinistra. E che per le stesse ragioni precludono ogni spazio a qualsiasi soggetto (scrittore, giornalista, editor, attore, regista) che non appartenga alla parrocchia dei “buoni”. Una tendenza che non riguarda soltanto le imprese storicamente di sinistra (per esempio Feltrinelli, gruppo Gedi…) ma anche quelle che appartengono a proprietari di orientamento opposto. Un esempio? La famiglia Berlusconi possiede, oltre alle televisioni, il principale gruppo editoriale italiano, Mondadori (libri, periodici, radio). Eppure sistematicamente ai vertici “creativi” del colosso, come nei tg, ci vanno personaggi vicini alla sinistra. In alcuni casi vicinissimi. Con i prevedibili risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
In una situazione come questa si capisce allora che proposte, riflessioni e dibattiti sono benvenuti. In attesa di buone notizie da Roma, dato che al ministero della Cultura è andato un personaggio di qualità ed esperienza come Gennaro Sangiuliano ed è quindi auspicabile un cambio di rotta. Nel frattempo si procede a piccoli passi, come sempre. Su internet ci sono molte realtà vivaci che, sia pure con pochi mezzi, ogni giorno producono cultura e informazione: oltre al giornale che ci ospita, ricordo il webmagazine Barbadillo, L’Arsenale delle Idee, la rivista Il Guastatore e molte case editrici che cercano di solcare il mare tempestoso dell’editoria con piccoli prodotti di valore. La sfida è quella di farsi trovare pronti con idee e progetti ma anche di alzare la qualità dell’offerta culturale, perché non è più tempo di dilettantismo volontaristico.
Ne parleremo lunedì prossimo, il 19 dicembre, alle 19,30, in incontro online sulla pagina Facebook proprio de Il Guastatore (https://www.facebook.com/rivistailguastatore): l’argomento del forum sarà “Narrativa identitaria. Un nuovo strumento per i temi non conformi”. Moderati dal padrone di casa Luca Lezzi, oltre al sottoscritto interverranno Miro Renzaglia, autore tra gli altri di “Cane Sciolto. Il nero muove e perde”, un coinvolgente romanzo sulla militanza negli anni di piombo; Guido Santulli, scrittore della storia di spionaggio all’italiana “Al di là del maestrale”; Marco Scatarzi, editore fiorentino di Passaggio al Bosco che con il proprio marchio ha creato un’intera collana di Narrativa identitaria.
Giorgio Ballario