Il presidente salvadoregno Nayib Bukele procede spedito verso la riforma costituzionale che aveva annunciato, forte della maggioranza dei 2/3 in seno all’unica Camera della nazione centroamericana. Oltre a rendere possibile la sua rielezione (nel 2024) per un secondo mandato consecutivo alla presidenza del Paese, il quarantenne di origini palestinesi vorrebbe far prolungare la durata del mandato da cinque a sei anni e assicurarsi la “fedeltà” del potere giudiziario sostituendo la Sala costituzionale della Corte Suprema di Giustizia con un nuovo Tribunale costituzionale, non soddisfatto dall’aver rimosso a maggio sia i cinque giudici della Corte che i quattro supplenti oltre al Procuratore Generale della Repubblica Raúl Melara.
I propositi del presidente hanno allertato la comunità internazionale per una possibile deviazione dalla democrazia verso un forte autoritarismo del piccolo stato di El Salvador, dato che la separazione dei poteri sembra essere solo un lontano ricordo dopo l’approvazione della legge che ha imposto a tutti i giudici superiori ai sessant’anni di età di andare forzatamente in pensione per permettere un ricambio generazionale, con uomini e donne vicini all’attuale governo.
Resta forte la preoccupazione anche per la possibile collusione di Bukele con i gruppi di malavita organizzata dopo la pubblicazione a fine agosto, da parte del quotidiano digitale El Faro, di un’inchiesta giornalistica supportata da audio, fotografie e testimonianze di un patto Stato-mafia che in cambio di una riduzione delle violenze nelle strade e appoggio elettorale al partito Nuevas Ideas (Ni) avrebbe garantito alle tre principali pandillas (le gang salvadoregne: la Mara Salvatrucha e i due rami del Barrio 18, Revolucionarios e Sureños) miglioramenti delle condizioni carcerarie per i membri detenuti e benefici per quelli in libertà.