Un passo alla volta, senza fretta ma senza tregua. E’ in questo modo che il popolo cileno si sta liberando di ciò che resta in democrazia dell’eredità del buio periodo della dittatura militare guidata dal fantoccio di Washington, Augusto Pinochet.
Le proteste popolari iniziate nell’ottobre 2019, in seguito ai rincari dei biglietti della metropolitana della capitale Santiago, hanno visto, nel corso del fine settimana appena conclusosi, sgretolare un altro mattone del muro che per trent’anni ha impedito alla nazione sudamericana di ottenere diritti sociali e leggi più eque.
Nulla è ancora compiuto, il voto per l’elezione dei 155 deputati che comporranno l’Assemblea Costituente rappresenta solo il secondo step dopo il trionfo del referendum, nell’ottobre 2020, volto a sostituire l’attuale Carta fondamentale del Paese che risale, appunto, ancora agli anni di Pinochet.
Come un allenatore che prepara la partita per non perderla piuttosto che per provare a vincerla l’attuale presidente Sebastián Piñera esce sonoramente sconfitto dalle urne. La sua coalizione di destra, pur presentatasi unita, non arriva ad ottenere il 33% dei seggi necessario a bloccare le riforme che la sinistra radicale e i movimenti protagonisti delle rivolte popolari vorranno apportare.
Nelle contemporanee votazioni per sindaci e governatori regionali i risultati per la destra liberale e conservatrice di Vamos por Chile non sono stati migliori dato che anche la capitale vedrà l’avvicendarsi tra il sindaco uscente, espressione dell’attuale esecutivo, e la candidata comunista Irací Hassler.
Nei prossimi nove mesi verrà redatto il nuovo Testo che, per entrare in vigore, verrà poi sottoposto ad un nuovo referendum confermativo. Nel frattempo a novembre si terranno le elezioni presidenziali più importanti del nuovo millennioche potrebbero regalare al Cile una svolta a sinistra mancata persino negli anni della decade dorada, quando il progressismo della Bachelet si mostrò molto distante dalle rivoluzioni attuate nei vicini stati dell’America latina.
Unica nota stonata resta quella relativa al basso tasso di partecipazione che ha visto recarsi alle urne solamente il 37% dei poco meno di quindici milioni di cittadini aventi diritto di voto.