Il primo turno delle elezioni generali in Ecuador ha riservato molte sorprese. La prima, ma non la più eclatante, è che ancora una volta i primi dati forniti alla chiusura dei seggi si sono rivelati distanti da quelli semi-definitivi forniti dal Consejo Nacional Electoral.
Arauz non ottiene i voti sperati
La fretta è stata cattiva consigliera del candidato correista Andrés Arauz che, indicato al di sopra del 40% e con un margine di diciassette punti dal primo sfidante, si è affrettato a proclamarsi vincitore della competizione. Lo spoglio, infatti, ha confermato l’economista come vincitore ma solo parziale, dato che con il 32,1% dei consensi seppur in vantaggio di dodici punti sul secondo Arauz non è riuscito ad evitare il secondo turno. Per farlo avrebbe dovuto raggiungere il 50% o il 40% con più di dieci punti sul primo degli sfidanti.

E dal perché del mancato successo al primo turno giungono le principali novità nella politica ecuadoriana. Il 62,3% degli ecuadoriani aventi diritto al voto recatisi alle urne hanno, infatti, bocciato del tutto le politiche di austerity promosse dal governo uscente di Lenín Moreno ma dividendo il loro sostegno tra tre sfidanti.
Chi ha perso e chi ha vinto le elezioni in Ecuador
Ad uscirne con le ossa rotta sono comunque: il candidato dell’esecutivo uscente, il ministro della Cultura Juan Fernando Velasco Torres, fermatosi allo 0.8% e la coalizione della destra liberale che sostiene il pluricandidato Guillermo Lasso che rischia, in un tesissimo testa a testa con l’indigenista Yaku Pérez, di vedersi esclusa dal secondo turno.
A sinistra si è, invece, fatto largo Izquierda Unida, un nuovo partito nato solo pochi mesi fa e capace di sfondare tra i giovani (che in America Latina a differenza del Vecchio continente rappresentano una fetta importante del corpo elettorale) tramite una campagna mirata sui nuovi social (TikTok su tutti). Il suo rappresentante Xavier Hervas si è attestato sopra il 16% e, tenendo conto che gli altri undici candidati non sono praticamente pervenuti, rappresenterà il vero ago della bilancia in vista del ballottaggio dell’11 aprile.
I possibili scenari futuri dopo le elezioni in Ecuador
Al momento le ipotesi sono due: una sfida tra il rinnovato progetto del socialismo del XXI secolo e la destra liberale filo-americana o un derby tra i correisti e la fazione indigenista.

In entrambi i casi l’esito non appare scontato, non bisogna dimenticare, infatti, che proprio il il movimento indigeno Pachakutik (critico con l’ex presidente Correa riguardo le politiche estrattiviste) decise di appoggiare lo stesso Lasso al secondo turno nel 2017 e in politica estera si accomuna alla destra nel vedere nelle nazioni Alba dei “governi dittatoriali e fraudolenti”.
Dal proprio canto il banchiere e leader della coalizione di centrodestra CREO (Creando opportunità) solo la scorsa settimana si era già detto disponibile a ricambiare il favore qualora non avesse raggiunto il secondo turno pur di sconfiggere il “totalitarismo populista” dietro il quale si cela Rafael Correa.
Due mesi, quelli che attendono la nazione sudamericana, che potrebbero avvicinare molto gli sfidanti e generare un risultato conteso tra il candidato della nuova formazione correista UNES (Unione per la speranza) e il suo sfidante come avvenuto proprio quattro anni fa quando Lenín Moreno in vantaggio di dieci punti percentuali e oltre un milione di voti al primo turno poi la spuntò col solo 51,1%.