Parlo spesso dei miei coatti. E del Boro. O meglio dei Bori, rigorosamente al plurale. Perché, in ogni classe, c’è n’è sempre uno. Una specie di capobranco. O, se vogliamo parlare difficile, il Maschio Alfa. In versione amatriciana. E borgatara, anche quando non viene da una borgata, ma da un quartiere residenziale.
Certo, quando racconto, accentuo volutamente certi episodi. Sottolineo determinate battute. Punto il riflettore su ben precise scene. O, come si diceva un tempo, siparietti.
La vita scolastica, anche qui, non è sempre una commedia degli equivoci. È molto altro. E i ragazzi sono molto più complessi di quanto possa apparire. Coatti e Bori compresi. Anzi, soprattutto loro.
Qualcuno, forse, può avere l’impressione che io, scrivendo di certe cose, abbia l’atteggiamento di supponenza del nordico, trapiantato in questo ventre molle d’Italia che è la sua Capitale. Insomma che sfotta.
Invece, a me, questi ragazzi stanno simpatici. Anzi, molto più che simpatici. Oserei dire che… li stimo.
Perché Roma, o meglio questo caotico agglomerato suburbano che, impropriamente, chiamano col nome antico e nobile, è città davvero difficile. Da viverci e, scusatemi, da sopportare. Lo è da sempre.
Quando venivo occasionalmente a Roma, prima di trasferirmici, ne ero, semplicemente, incantato. Ma i miei amici romani mi dicevano che era solo perché venivo, in fin dei conti, a fare il turista. “Prova a viverci, e vedrai…” aggiungevano. Ed avevano ragione.
Comunque, nel tempo è peggiorata. Come tutte le città, presumo. Perché a peggiorare sono gli uomini che vi abitano. E le loro storie. Tanto per dare ancora una volta ragione a Tacito: la storia inclina sempre verso il peggio. Perché quella dell’evoluzione, delle magnifiche sorti e progressive – Leopardi, altro, lucido, “pessimista” – è solo una grande illusione….o, ad essere più schietti, una gran balla.
E, in quest’ultimo, stralunato anno, lo si è potuto constatare, senza tanti infingimenti.
Il Covid… certo. La Pandemia. Le restrizioni imposteci per “la nostra salvezza”. La stupidità, l’incompetenza, l’avidità al potere… Tutto vero. Tutto giusto.
Ma, se permettete, il vero problema non è lì. Non nel virus, più o meno letale. Più o meno reale. Non nei governanti, più o meno inetti. E in malafede. Il problema è nelle… persone. Parola che, in latino, significa “maschera”. E mai tale termine è stato come ora appropriato.
E le persone, le maschere che vedo quotidinamente aggirarsi, ed infestare ciò che resta di Roma sono… deprimenti. Per non parlare dei discorsi che sento. Ormai più online che dal vivo, visto i distanziamenti…
Consiglio di classe. Un esempio.
“È una classe molto problematica” dice una collega.
“Mi hanno molto deluso…” aggiunge un’altra.
Resto perplesso. Certo, vivaci sono vivaci. E non proprio studiosi e disciplinati. C’è, per esser chiari, una bella falange di coatti. E anche un Boro di prima qualità. Ma è sempre stata una buona classe. Come risultati. Le teste ci sono. Forse… forse si riferiscono al disagio di questi mesi. Più di una ragazza è in stato depressivo. Alcune lamentano attacchi di panico. Una mostra chiari, e preoccupanti, segni di anoressia…
Lo chiedo.
Noooo. Urlano all’unisono le colleghe. Il problema è che quando entriamo in classe li troviamo sempre assembrati. E spesso senza mascherina. E quando li rimproveriamo, li richiamiamo al senso di responsabilità, ricordiamo che stanno minacciando la salute e la vita di tutti (in particolare la loro, quella di cotali “insegnanti”) questi ci ridono in faccia.
Resto in silenzio. Vorrei, però, urlare. Ma non vi rendete conto della vita che questi ragazzi stanno facendo da oltre un anno? Dei danni psicologici che alcuni si porteranno dietro per sempre? E questo perché voi avete paura. Di morire. Ignobili….
Ma mi trattengo. Non per educazione, inutile con tali… persone.
Ma perché mi viene in mente la scena.
Loro che entrano tutte eleganti. Griffate dalla testa ai piedi (tanto hanno i mariti che mica fanno gli insegnanti). Griffata anche la mascherina. Anzi le mascherine. Perché ne indossano due, anche tre, le une sopra le altre. E trovano Boro e coatti che mangiano allegramente. Pasta al forno, supplì… roba così. Perché, causa Covid, questi restano a scuola fino alle tre ed oltre. E con una briochina…
E loro si indignano. Anzi, vanno nel panico. Perché questi mettono a rischio le loro, elegantemente inutili, vite. O per lo meno così ha detto il TG. E hanno detto Scanzi e gli intellettuali alla moda. E quindi è vero. Vangelo.
Si indignano. Urlano. Starnazzano. Le regole vanno rispettate!
Fanno la morale.
E quelli?
Continuano beati ad ingozzarsi di pizza fredda, supplì, con le mani unte, il mento unticcio, il sugo che vola sui jeans sdruciti… E il Boro che arriva a forbirsi la bocca con la famosa mascherina, fornita dalla scuola. E sghignazza.
Vedo mentalmente la scena. E dentro di me rido. E provo un certo conforto. Forse c’è ancora speranza per questa città. Per questo popolo.
E, siccome oggi presiedo io, dichiaro chiusa la riunione. Punto.