Il 5 maggio del 1981, all’età di appena 38 anni, moriva a Milano Emanuele Samek Lodovici.
È più che probabile che il suo nome ai più non dica molto, ma si tratta di uno dei più raffinati pensatori e studiosi di filosofia del secolo scorso.
Purtroppo le conseguenze di un tragico, quanto banale, incidente automobilistico lo strappavano alla vita e a una carriera che si annunciava particolarmente brillante. Basta citare in merito le parole che Augusto Del Noce gli porgeva in una lettera del gennaio 1981: “Lei ha ormai la possibilità di diventare un vero maestro. Né minimamente esagero nel dirle che non ne vedo altri fra coloro che hanno oggi meno di quarant’anni”.
E all’epoca se ne vedevano pochi, di maestri, anche tra coloro che avevano superato la quarantina.
E Samek fu un maestro anche per impegno e coraggio, giacché a Torino, e in particolare nelle facoltà di Scienze Umanistiche, nel pieno degli Anni di Piombo non era certo facile non essere di sinistra o marxista.
Dopo la laurea, conseguita alla Cattolica di Milano, per un paio d’anni aveva insegnato nei licei, ma dal 1974 cominciò a collaborare con Vittorio Mathieu che in quel feroce periodo deteneva la cattedra di Filosofia Morale presso l’ateneo torinese.
All’insegnamento, che gli consentì di formare un’intera generazione di studiosi che mal sopportavano l’egemonia ideologica che si respirava a Palazzo Nuovo, alternò la redazione di una consistente serie di saggi in cui raccoglieva le sue riflessioni e i suoi studi. Innamorato di Plotino, egli indagò la sopravvivenza delle dottrine gnostiche nei pensatori moderni, il che lo portò a considerare ormai superato l’influsso deleterio che l’ombra tetra dell’Illuminismo aveva steso sul pensiero contemporaneo.
Da cattolico per formazione e fede, la sua bussola fu sempre l’opera di Sant’Agostino. Insomma, non proprio uno studioso che poteva muoversi agevolmente in un ambiente laico, razionalista e materialista com’era quello degli anni Settanta.
Ma la sua levatura morale ed intellettuale lo poneva al riparo da attacchi e critiche. Tanto che il direttore editoriale della casa editrice Rusconi di Milano, il grande ed indimenticato Alfredo Cattabiani, gli offrì la direzione della collana I Classici del Pensiero, che riportava alla luce una serie di testi filosofici ed etico-metafisici a quell’epoca – e ancor oggi – quasi del tutto introvabili.
Ma chissà quale altro apporto al pensiero non allineato avrebbe potuto ancora dare se il destino non se lo fosse portato via quando si era appena affacciato all’Olimpo degli studi accademici e filosofici.
Una delle sue frasi preferite era “non si può studiare filosofia se non filosofando”. Un motto che molti, troppi, suoi colleghi non prendono neppure in considerazione.