Vi è un libro che parla del Carnevale… Oh, certo, ve ne sono molti e di tutti i tipi. Ma questo è particolare, perché, secondo me, centra un aspetto diverso, che resta in genere in ombra. Che non si nota o, più spesso, non si vuole notare…
È “Senilità” di Italo Svevo. Il suo secondo romanzo, scritto proprio a fine ottocento. Per molti critici il suo vero capolavoro. Cosa, per inciso, su cui non concordo. Continuo a preferirgli “La coscienza di Zeno” con quella scrittura più asciutta e, soprattutto, con quegli, improvvisi ed inattesi, scarti ironici… ma questo sarebbe discorso lungo, e qui non è cosa.
Quello che mi interessa non è far critica letteraria, ma parlare del Carnevale.
Che però con “Senilità” sembra non aver nulla, ma proprio nulla a che a che fare…
Però il titolo originario, quello che Svevo voleva dare ral romanzo, non era “Senilità”, bensì “Il Carnevale di Emilio”. Perché il personaggio, poco più che trentenne ma senile nei riguardi del vivere, all’inizio si mette in maschera. Ovvero finge di essere ciò che non è. Uno deciso, capace di afferrare la vita e di godersela senza tanti problemi. Mentre…
Naturalmente la “maschera” Emilio se la mette per sedurre una donna. Fingendosi quello che non è. Sicuro, spregiudicato. Cinico. Capace di proporre una relazione senza impegno sentimentale. Da “scopamici” si direbbe oggi… Ma allora si era, fortunatamente, più eleganti.
E il bello è che la donna in questione accetta. Le va bene così. Anche perché non nuova a questo genere di cose…
Solo che Emilio si innamora. Il cinismo, la spregiudicatezza erano solo una maschera. Il suo Carnevale…

Basta così. Se volete sapere come va a finire, leggete il romanzo. Che merita.
A me interessa solo sottolineare come noi si usi costantemente delle maschere. Da sempre. Maschere che servono a celare ciò che siamo. E che però, al contempo rivelano ciò che vorremmo essere. O per lo meno che vorremmo essere in quel preciso momento…
E questo è il nostro, perenne, Carnevale. Che non ha una stagione precisa, in quanto non appartiene al tempo ordinario. Non è stabilito da alcun calendario. È, piuttosto, una condizione al di là dello scorrere dei giorni e dei mesi. Che rivela non tanto ciò che siamo, bensì la complessità del nostro essere.
Un insieme di aggregati, secondo i Buddhisti. Se vogliamo, di “enti” tenuti insieme dall’illusione di essere un individuo. Unico ed unitario. Che è, appunto, solo illusione. Come scopre il personaggio di un altro grande romanzo del ‘900. Il Vitangelo Moscarda di Pirandello.
Anche questo, a ben vedere, libro che ha a che fare col Carnevale. O, per lo meno, con le maschere. E maschera, in latino, si traduce “persona”. Proprio quella persona che noi ci illudiamo di essere. Cui siamo tanto, ma proprio tanto affezionati. In modo, si potrebbe dire, morboso… E che temiamo di perdere. Più di ogni altra cosa. Di qui la paura ossessiva della morte. E l’ossessione per il mito incapacitate del nostro tempo. La salute. Quella meramente fisica. Alla quale sacrifichiamo quella mentale. E quella, per così dire, dell’anima.
Fossimo coscienti di essere solo maschere, non proveremmo tanto… attaccamento. Quando finisce il Martedì Grasso, e arrivano le Ceneri, bautte e tricorni vengono riposti nell’armadio…

Ma torniamo a Senilità. A Emilio. La cui mascherata, il cui Carnevale viene innescato dalla presenza di una Donna. E non importa qui se lei, Angiolina Zarri nel romanzo, sia la carnale popolana che altri chiamano la Giolona. O l’essere etereo che nella mente di Emilio diventa Angel… Il femminino eterno, per dirla con Goethe, racchiude in sé, inscindibili, entrambi i volti. Il corpo e lo spirito…
Ciò che conta, è che l’uomo davanti alla Donna cambia. Indossa altre maschere. Una o più…. Centomila, innumerevoli. Non è ipocrisia. Semplice finzione. È molto di più.
L’impatto con la Donna mette in discussione ciò che sei. O meglio ciò che ti sei illuso di essere. E ti costringe a sperimentare altre dimensioni. Altre maschere. Sino a prendere atto, dolorosamente – come Dante quando incontra Beatrice nel Paradiso Terrestre – che sono tutte, solo, costruzioni illusorie. E allora non hai altra scelta che immergerti nel Lethe. Che non è la Morte, ma l’oblio di te stesso. Della maschera che ti sei fissato in volto. Di tutte le Maschere che, ogni giorno, indossi e cambi.
Per questo, oggi, la Donna fa paura. E fa paura la potenza dell’eros. Che è Dio spietato. Distruttore delle illusioni.
Per questo esistiamo, non viviamo, in una condizione di sempre più profonda, e angosciante, solitudine. Incapaci, anzi inetti, per dirla con Svevo, a vivere realmente . Ad afferrare l’attimo fuggente. Abbandonando ogni altra presa. Ogni appiglio. Prendendo coscienza che, alla fin fine, ciò che ci circonda, ciò che crediamo di essere, è solo un, effimero, Carnevale.
