Passano gli anni, i decenni ma la storiografia continua a combattere i pregiudizi politici di chi vorrebbe imporre la propria verità secondo una prassi orwelliana. Sugli sconfitti dovrebbe abbattersi una damnatio memorie e quando proprio non si può allora sarebbe bene raccontare dei nemici come di feroci barbari assetati di sangue senza un briciolo di idea.

Nel corso della rassegna Salerno letteratura il professore Emilio Gentile, fra i maggiori conoscitori del fenomeno fascista in Italia, ha presentato, tenendo una vera e propria lectio magistralis dal titolo “Fascismo: una storia vera”, la ristampa del suo libro “Storia del Partito fascista. Movimento e milizia 1919-1922” edito da Laterza.
Nel corso del colloquio con il moderatore l’allievo di Renzo De Felice ha avuto modo di sfatare i tanti miti che per troppo tempo si sono imposti per via della repressione che colpiva puntualmente i battitori liberi nel campo della ricerca.

Armi e libri in pugno, avvalorando le proprie tesi grazie ad un immenso apparato di fonti primarie, Gentile è riuscito a svelare come il fascismo sin dalla sua nascita non si identificò con il proprio leader, il mussolinismo non esistette mai, lo squadrismo composto da “gatti scatenati, impossibili da addomesticare” fu il vero motore che permise in un tempo rapidissimo la crescita di iscritti e consensi lungo lo Stivale.
In un ulteriore passaggio Gentile ha sostenuto che “il fascismo un’ideologia la ebbe e anche molto ben strutturata” sebbene, secondo lui, fu focalizzata alla costruzione di un uomo e un’Italia nuova in antitesi a quella risorgimentale, tesi quest’ultima che non spiega l’adesione di tanti intellettuali (a partire da Curzio Malaparte) che videro nella Prima guerra mondiale la Quarta guerra d’indipendenza e con essa il compimento definitivo dell’unità nazionale.
In ogni caso un’occasione di dibattito, di crescita, in presenza (cosa tutt’altro che scontata di questi tempi) e che qualcuno vorrebbe proibire nelle nuove università del politicamente corretto in cui argomenti e programmi dovrebbero essere rivisti in barba alla propria storia nazionale.