“Torino, patria dei bar storici, ha perso più di mille bar negli ultimi 10 anni”. Maria Luisa Coppa, presidente di Ascom Confcommercio della provincia subalpina, si lamenta per un’emorragia che pare inarrestabile e che, a livello italiano, ha portato alla chiusura di 15 mila imprese in 10 anni. Ovviamente il suo “grido d’allarme” non è accompagnato dalla benché minima autocritica. Soprattutto per ciò che riguarda Torino.
La città vale, in termini numerici, meno di un sessantesimo della popolazione italiana. Dunque se le chiusure sono pari a un quindicesimo del totale nazionale, forse significa che esiste qualche problema locale. Ad esempio il numero eccessivo di bar nella città piemontese. Per troppi anni chi perdeva il lavoro dipendente, con la liquidazione apriva un bar, nell’errata convinzione che non servisse professionalità ed esperienza. Un errore catastrofico, evidenziato anche dai continui cambi di proprietà dei vari locali.

E poi i prezzi. A partire da quello del caffè. Perché Torino, che si considera capitale del caffè – grazie a Lavazza, Vergnano, Alberto e molti altri – ha prezzi nei bar decisamente superiori a quelli della media italiana. Ma, su questo, non una parola. O, tutt’al più, ci si difende sostenendo che a Milano è anche peggio. Dimenticando, però, che il livello medio salariale a Milano è più alto.
Coppa, però, insiste sull’impegno di molti bar che si sono trasformati incrementando la parte di ristorazione. Vero, ma forse è proprio questo che spiega le tante chiusure. E non solo per lo smart working, come sostiene la presidente dell’Ascom. Perché ormai il lavoro da casa è stato drasticamente ridotto. I prezzi, invece, no. Pranzare in un bar, anche bevendo solo acqua, ha un costo sempre superiore al valore dei buoni pasto messi a disposizione dalle aziende. Ovvio che, con i magri stipendi torinesi e con il costo della vita in costante aumento, i lavoratori debbano rivedere la pausa pranzo, magari portandosi il cibo da casa.
Anche su questo, però, Coppa tace. Ed evita anche di commentare una realtà evidente per tutti. Ci sono bar che chiudono e ce ne sono altri dove si fa la coda per sedersi a un tavolo. Sia per la pausa pranzo sia per un aperitivo preserale o per un bicchiere dopo cena. Nella stessa città, nello stesso quartiere. Un problema di capacità di gestione economica, ma anche di capacità di conquistare e mantenere una clientela fidelizzata. Un sorriso in più, due parole in più, una battuta ogni tanto al cliente abituale. Tutto gratis.
Certo, bisogna essere capaci di scegliere il personale. E su questo, invece, Coppa ripete le immancabili banalità “da bar”: non si trovano lavoratori qualificati. Però i locali che funzionano, e bene, il personale lo trovano. Lo pagano il giusto e lo trattano correttamente. Un circolo virtuoso che non si arresta se un ragazzo o una ragazza se ne vanno per fare altro nella vita. Perché ciascuno di loro, se soddisfatto dell’esperienza lavorativa, porta amici in quantità per la sostituzione.