L’uscita di Letta sulla celebrazione dell’anormalità potrebbe essere commentata con una semplice battuta: una evidente autoconsapevolezza ed una astuzia elettorale per raccattare voti nell’unico bacino di sicura fede pidiota.
Però dobbiamo andare oltre, perché un rappresentante politico che sproloquia su un argomento di grave rilevanza sociale e, purtoppo, spesso anche criminale, diventa messaggero di pensieri distorti e di pericolose giustificazioni.
Ogni organizzazione sociale, qualunque organismo comunitario, la più semplice relazione interpersonale ha bisogno di regole approvate e di un quadro condiviso di comportamenti. Senza un comune intendere la vita, i legami, i rapporti e le reciproche comunicazioni salta anche la minima possibilità di comprensione e di rispetto reciproco.
Freud ha parlato del bambino perverso e polimorfo per indicare quella propensione all’anomalia, alla stramberia che è presente in tutti noi nell’infanzia, ma che viene trasformata attraverso diversi meccanismi psichici in un armonico adeguamento alla realtà, anche attraverso l’educazione e l’introiezione di esempi positivi e significativi.
Letta, con questa sua balzana e deleteria uscita, non ha detto nulla di nuovo: ha solo sollecitato ad adeguarsi ad una società che è già scivolata verso l’accettazione delle più equivoche degenerazioni.
Charles Melman, uno dei più grandi psicoanalisti lacaniani viventi, in un suo pregevole saggio del 2010 – L’uomo senza gravità – denunciava come “la morale tradizionale…era organizzata dalla preoccupazione di preservare il proprio onore. [Mentre oggi] l’indegnità è divenuta norma”. Ma non solo: “La perversione diventa una norma sociale”.
Ecco la questione. Letta non è più il portavoce della trasgressione, ma il banale cronista di una condizione diffusa e pervasiva di anormalità.
Dobbiamo prendere atto che tutte le leggi di natura sono state progressivamente disarticolate dalla realtà. Le voglie infantili hanno sostituito i desideri adulti, e la libertà è intesa come liberazione degli impulsi, e non opportunità individuale di perseguire le proprie realistiche inclinazioni.
Due importanti studiosi dell’infanzia, il filosofo e psicoanalista Benasayag e lo psichiatra Schmit, hanno scritto che “Se tutto sembra possibile, allora più niente è reale”. Ed Enrico Letta è l’interprete politico soddisfatto dell’irrealtà degenerata e malata; è il fautore della liquidazione di ogni norma in nome e per conto di una vera e propria deformazione e patologizzazione antropologica della società.
A questo punto una diagnosi ci sta. E ci soccorre James Hillman con la sua psicologia archetipica quando evidenzia come “Oggi la patologia la si incontra nella psiche della politica”. Così, il caso Letta, è confermato e chiuso. La patologia della politica è personificata nella sua persona e nelle sue affermazioni. Tutto quello che dirà e farà non potrà essere mai separato e ripulito dal suo malato sentire.