Ci risiamo. Un altro Equinozio di Primavera. Il tempo si riavvolge su se stesso. Il Grande Serpente. Tutto muta. E tutto resta uguale. Ritorna. Il mistero della vita che continua a sfuggirci. Perché il nostro pensare si muove su una linea retta. In un piano apparente. Che ci illudiamo sia infinito. Mentre, appunto, è solo una Morgana. Un’immagine astratta. Ingannevole. Perché, ad un certo punto, la linea si interrompe. Il piano ha termine. E noi…. beh noi precipitiamo nel vuoto. Nel nulla. Perché tale è il nostro modo di concepire il tempo.
Se, però, guardiamo la natura, se riusciamo, per un attimo, ad uscire da noi stessi, dalla prigione della nostra mente, delle nostre paure, vediamo che il Tempo, quello vero, è ciclico. Tutto muore. E tutto ritorna. Uguale e diverso. E le nostre paure, pensieri, preoccupazioni perdono sostanza. Sono molto meno reali dei fiori del ciliegio, che, lievi delicati, hanno tuttavia una incredibile capacità di resistere al vento. E nella fioritura sono attimi durevoli di luce. Per questo, dice Ignazio Nitobe in “Bushido” – vecchio libro che segnò la mia giovinezza – il Giappone ha scelto il fiore di ciliegio come simbolo. Per la sua capacità di resistere. Anche ad inattese nevicate primaverili. Come quella del capolavoro di Mishima.

Comunque è l’equinozio. Strano inizio di Primavera. Il vento è freddo. Prima dell’aurora sui parabrezza scintillava un sottile velo di brina. E il cielo continua ad essere grigio. Insolito qui, a Roma.
Per altro Augusto, il direttore, ha postato una foto in cui fa gli auguri di Primavera. Immerso in una nevicata così fitta da farlo sembrare uno yeti… Ma lui è lassù. A quasi duemila metri… E sinceramente lo invidio..
Però è Primavera. Nowruz per tutto il mondo turco-iranico. Una grande festa che si celebra dalle estreme propaggini delle steppe sino al Mediterraneo. E anche lungo tutta la dorsale balcanica. Festa antichissima, che risale a Zarathustra, o addirittura prima. Festa della Luce, poetica. Tavole addobbate con candele profumate, fiori appena sbocciati. E un trionfo di cibi tradizionali. Verdure e frutta su tutto… Risale alla notte dei tempi, e le religioni organizzate, venute dopo, non sono mai riuscite a sostituirla. O farla dimenticare.
Troppo radicata. Troppo… sentita dall’anima di quei popoli…
Nella nostra antichità, in quella che chiamiamo Europa, vi erano celebrazioni simili. Presso le genti celtiche, certo, che avevano un rapporto strettissimo con i cicli naturali. Ma anche nella Roma arcaica. Erano, questi, i giorni sacri a Minerva, culto etrusco e italico, ben prima che venisse assimilata alla greca – forse di origine egizia – Athena…
Ma noi abbiamo perduto quel senso delle stagioni, del tempo ciclico, del volgersi eterno della Ruota che era dei nostri antenati. E che altri popoli, altre culture ancora riescono a serbare, nonostante tutto.
E così vediamo tornare Primavera. E, astrattamente, sappiamo che è l’equinozio. Ma ci appare un giorno come tutti gli altri. Che fugge via, e più non ritorna. La nostra maledizione, la, vana, ricerca del tempo perduto.

È sabato. E la città è incredibilmente silente. Anche perché siamo, nuovamente, segregati. Come lo scorso anno. Solo che, ormai, nessuno canta più dalle finestre o espone arcobaleni con scritto Andrà tutto bene.
Il grigiore, prima che nel cielo, è dentro di noi. Abbiamo la sensazione che i giorni, la vita, ci vengono rubati. Ma non reagiamo. Restiamo inerti. Paralitici. Troppa paura che la linea illusoria del tempo si interrompa. Troppa paura di morire. Perché non riusciamo più a percepire la vita…
Buon Nowruz a tutti.