Ma quando è cambiato davvero il turismo italiano? Silvia Meneghini, con il suo libro “Erano tutti cieli blu” (Edizioni Il Canneto), offre una risposta probabilmente inconsapevole ma non per questo meno interessante. Il piccolo volumetto racconta le vacanze in montagna a partire dal 1955. Ricordi strettamente personali che si trasformano in uno spaccato di un’epoca. La montagna è quella valdostana delle Valle d’Ayas. Un albergo privo dei comfort attuali in una piccola frazione, Frachey, a pochi minuti di cammino dalla più nota Champoluc.
Meneghini ricorda i preparativi per la vacanza. Il baule da spedire con gli abiti preparati appositamente dalla sarta. Siamo a metà del secolo scorso, ma pare quasi di leggere Goldoni ed i preparativi per la villeggiatura dei veneziani del Settecento.
Ma anche gli anni successivi, sempre nel medesimo albergo, con i giochi nei prati sotto lo sguardo attento delle madri. Le prime escursioni su sentieri progressivamente più ardui, le prime vette, i rifugi. E la compagnia di giovani di buona famiglia che chiedevano alle mamme delle ragazze il permesso di uscita anche pomeridiana. La gioventù “bene” che, sull’onda del maggio francese, contestava per ottenere ciò che aveva già. I primi amori ed i primi dolori, l’inizio di un turismo se non di massa però più affollato. Ma la buona gioventù restava fedele a se stessa, ad un modello di turismo elegante e distaccato.
Distaccato, soprattutto, dalle immense compagnie di ragazzi e ragazze con solo 5/6 anni di meno. Cresciuti, nei medesimi luoghi, senza le mamme a controllare. Ragazzini che vivevano perennemente in gruppo, via per i prati e le montagne tutto il giorno. Impegnati, i maschi, in muscolari ed infiniti tornei di pallone, in zuffe e riappacificazioni. Panini per pranzi al sacco e a casa solo la sera per cena.

Non più la buona borghesia cittadina che saliva in montagna e riproduceva i medesimi comportamenti sociali, ma ragazzi di città – figli della stessa borghesia – che si mescolavano senza problemi con i coetanei del luogo. Ragazzi che giocavano insieme, che crescevano insieme, che a volte si innamoravano insieme o che, banalmente, avevano insieme storie di sesso (la rivoluzione sessuale dava i suoi frutti e l’Aids non era arrivato in Valle). Una lunga stagione diversa. Finita anche quella. Il lavoro riduceva i periodi di vacanza, poi le famiglie.
Mentre le nuove generazioni si abituavano a vacanze mordi e fuggi. Due settimane in giro per il mondo, qualche giorno al mare, una settimana in montagna per far contenti i genitori che, quando son contenti, tirano fuori i soldi più facilmente. Ovvio che, con questo tipo di vacanza, le “immense compagnie” non potevano esistere. Non era possibile creare una vera intimità nei rapporti personali. Ma questo era il “dopo”. Mentre il libro di Silvia Meneghini – che verrà presentato ad Ayas Antagnod il 31 luglio – racconta di un mondo che non mutava le abitudini della lunga vacanza stanziale ma che, nell’arco di 5/6 anni, aveva rivoluzionato la vita dei turisti sotto cieli che erano sempre blu. Un libro intimo che si trasforma in un mini trattato di sociologia.