Forcaiolo, L’Espresso, lo è sempre stato. Come certa sinistra, d’altra parte. Ma un tempo esercitava questa sua “vocazione” con una certa eleganza.
Sembra passato un secolo dai tempi in cui il settimanale “faceva opinione” con le sue inchieste volte a sferzare il potere e a smascherare trame. Basti pensare alle serie di articoli dedicati al Sifar, o alla campagna contro il monopolio RAI; all’inchiesta di Camilla Cederna sul caso Leone o alla pubblicazione dei verbali della Commissione parlamentare che si occupava del Caso Moro; solo per citarne alcuni.
Ora, dopo il fallimento, il glorioso rotocalco si deve accontentare di essere un semplice allegato al numero di La Repubblica in edicola la domenica mattina. Pertanto la testata che ha accolto in passato firme prestigiose come Alberto Arbasino e Alberto Moravia, Beniamino Placido e Tullio De Mauro, Umberto Eco e Bruno Zevi, Pier Vittorio Tondelli e Umberto Veronesi, oggi si deve accontentare di Marco Damilano e Roberto Saviano.
Ma pur in questo declino la vocazione forcaiola permane. E in mancanza delle grandi inchieste del passato deve accontentarsi di fare da reggicoda ad una sinistra profondamente in crisi di identità e di idee, sparando a caso nel mucchio degli avversari.
Ed ecco che sul numero di domenica scorsa, sulla scia delle polemiche nate a margine del Salone del Libro di Torino, è stata pubblicata un’autentica lista di proscrizione nei confronti delle case editrici non allineate al pensiero unico dominante.
L’articolo si intitola “Libri Neri” e reca la firma di Andrea Palladino e Giovanni Tizian. Diciamo subito che l’inchiesta – se così si può definire – è ampiamente incompleta e raffazzonata. Non sono pochi, infatti, gli editori che si devono essere risentiti per non essere stati citati dai due giornalisti. Nel leggere l’articolo spiccano lacune vistose dovute forse al fatto che gli autori sono stati chiamati a redigere il testo in fretta e furia, non appena scoppiato il caso Altaforte.
Non manca però il livore tipico di certa sinistra che si sente defraudata di un monopolio culturale che in Italia durava da decenni e che le era stato garantito dal potere prima democristiano e poi berlusconiano.
Un potere che oggi le viene conteso da una miriade di iniziative culturali ed editoriali che mettono in particolare risalto la crisi degli orfani del marxismo e delle ideologie, e che oggi, abbandonata dalle masse dei lavoratori, si è ridotta a difendere gli interessi degli immigrati irregolari e dei poteri forti.
E quando non si sa più che cosa proporre alla gente, ecco che l’unico modo per farsi notare diventa quello di attaccare gli avversari. Ma non si riesce a capire come la sinistra possa tornare a vincere se gli avversari sono editori o uomini e donne che fanno cultura.