Voglio trovare un senso a questa vita, anche se questa vita un senso non ce l’ha…
cantava Vasco.
Ed oggi, che sono adulta “nel mezzo del cammin”, mi sto chiedendo quale sia il senso della mia, di vita.
Immagino che sia insito nel genere umano porsi questa domanda, con forse anche quel pizzico di speranzosa presunzione di essere destinati a qualcosa di speciale.
Sarà che viviamo nella generazione degli “idoli”, dei “supereroi” e dei “record mondiali”.
Una Società che promuove la casta dei “divi” – attori, calciatori e politici –: persone non dotate di particolari talenti e che non passeranno alla Storia per il loro contributo all’umanità, ma che vogliono proporci come modelli positivi da imitare e seguire.
Eppure già Brecht diceva:
Sfortunato quel Paese che ha bisogno di eroi.
Perché difetta di persone normali, quelli che tutti i giorni fanno il loro mestiere con professionalità, che si occupano di chi sta loro attorno senza preoccuparsi che si tratti del jet-set o gente del proprio (ambito o acquisito) status sociale, né del vantaggio che potrebbero trarne, ma anzi che aiutano chi è più in difficoltà di loro.
Quelli che offrono il proprio contributo alla comunità in cui vivono ed un aiuto a casa, amici e vicini. Senza aspirare “al meglio”, ad emergere o a dimostrare qualcosa a qualcuno.
Insomma, una vita “da sfigato”, direbbe qualcuno, visto che la nostra Società ci richiama ad essere sempre i migliori e a volere il meglio per noi stessi, anziché essere il meglio di noi.
Eppure Gesù Cristo famoso lo è diventato lo stesso, anche se non frequentava la nobiltà né i salotti bene. Né ambiva ad avere notorietà e potere. Un “fesso”, insomma, visto anche la fine che ha fatto – aggiungerebbe qualcun altro.
Ma se mi guardo intorno, non vedo gente felice. Forse a furia di sbirciare gli altri sui social network, si confonde una realtà virtuale che non esiste e si invidia quella “erba del vicino “ che sembra sempre “più verde”.
Sì, perché il tempo di stare sui social, giocare sul telefonino, parlare del nulla su whatsapp lo troviamo sempre, mentre per le cose davvero importanti come ascoltare, dare una mano o porgere un sorriso ed essere gentili, siamo troppo stanchi e stressati. E certamente infelici.
Allora perché invece che “evolvere” e adattarci ai cambiamenti globali (che stanno rendendo la nostra esistenza un “sopravvivere”, anziché un “vivere”), tornassimo a coltivare il nostro orticello, all’interno della nostra comunità, del nostro quartiere, della nostra famiglia? Ritornassimo a cercare di essere meno “supereroi” e più “umani”?
Per concludere, citando un’altra canzone, ritrovassimo il “coraggio di essere umani”, come diceva Mengoni?
Forse saremmo tutti meno stressati e depressi, ma più sereni e felici. E capiremmo che il senso nella nostra vita non è quello di passare alla Storia ma nella storia delle persone incontrate. Rimanendo nelle loro vite e lasciando di noi il ricordo di esserci stati: con pazienza, coerenza, garbo, cortesia e la semplicità di un sorriso e di un raggio di sole.