Dostoevskij scrisse che la Bellezza salverà il mondo…
Però non vi preoccupate. Non ho intenzione di lanciarmi, ancora una volta, in un pistolotto contro la stupidità imperante in questi mesi. Che ha portato a guardare con sospetto, e ove possibile discriminare, il grande scrittore russo. Come un po’ tutti i grandi scrittori, musicisti, filosofi suoi conterranei. E solo perché, appunto, Russi. Come Putin…. Ne ho già parlato, e il discorso è venuto a noia a me prima che a voi.
E neppure voglio tentate una qualche disamina dotta del pensiero di Dostoevskij. Solo, prendere uno spunto. E lasciare andare i pensieri. Seguendone, per quanto possibile, la concatenazione. E cercando di fare ordine in questo affollarsi, della mente e del cuore, che spesso mi prende nelle ore antelucane.
Dunque, la Bellezza. Come salvezza, come zattera cui aggrapparsi nel naufragio. Come ramo di albero cui tenersi per cercare di cavarci fuori dalle sabbie mobili in cui stiamo sprofondando. Perché la Bellezza è l’unica, anzi l’ultima cosa che ci resta. Prima dell’abisso. Del nulla…
Non conta, però, ciò che si fa, o si dice, o anche si scrive. Non è una questione da esteti fine ‘800. Quella sarebbe solo una posa. Un atteggiamento esteriore. Superficiale. E, inevitabilmente, falso. È una questione di… animo. L’animo con cui si fa un gesto. Con cui si dice una parola .
Semplifico, sino al paradosso. Il contadino che spala il letame, può avere più il senso della bellezza del raffinato che recita, in un salotto, una, stupenda, lirica di Baudelaire.
Perché nel gesto del contadino vi è semplicità, un rapporto essenziale con la natura. Con la bellezza del campo nel sole del mattino. Non è necessario che sappia esprimerlo in parole. E neppure in pensieri coscienti. È bello, e basta. In certi quadri del Fattori mi è sembrato di afferrare proprio questa emozione.
Ma chi si atteggia ad esteta, che finge sentimenti belli e nobili, ma non li prova…e il suo fingere è funzionale a scopi che nulla hanno di bello… costui è animo volgare. E ciò che fa è triste. È solo il segno di una, irredimibile, povertà interiore.
Il divenire dell’uomo moderno, quello che, semplificando, possiamo chiamare occidentale, ha portato ad uno sviluppo, abnorme rispetto al passato, delle facoltà razionali. Per lo meno di quella parte della ragione che pesa e misura. Ma questo è andato a detrimento di molto altro.
Abbiamo perso qualsiasi rapporto diretto con la Metafisica. Che, oggi, è solo astrazione per intellettuali rinchiusi nei loro covi accademici. Senza alcun rapporto con la vita.
Nietzsche lo intuì con chiarezza. Nel saggio “La conoscenza nell’epoca tragica dei greci” mette in luce come, un tempo, non vi potesse essere conoscenza che non si traducesse spontaneamente in vita. Perché nulla era astratto. La Tragedia, l’apice assoluto della nostra civiltà, esprime questo. La simbiosi tra conoscere e vivere.
Ma oggi non vediamo più gli Dèi camminare fra noi. Se abbiamo una Fede è comunque una fede astratta. Che non riesce a darci certezza. Che non riesce a fugare le paure.
Al massimo il pensiero si esercita nella interpretazione delle cose materiali. Nella, cosiddetta, epistemologia.
Per carità, non è cosa da disprezzare. Nei secoli ha portato l’uomo a fondarsi su se stesso. A cercare di dominare il mondo senza invocare, supplicare, pretendere aiuti trascendenti.
È molto. Ma, a pensarci, è anche qualcosa di… titanico. Che può diventare mostruoso
E che la china della nostra civiltà sia oggi sempre più mostruosa, e volgare, e squallida, è un fatto difficile da mettere un dubbio.
Un processo di autodistruzione che sta, spaventosamente accelerando.
Perché senza conoscenza viva non vi è etica vivente. Solo i “valori ” che possono venire, appunto, pesati e misurati. Quindi sostituiti, scartati, radicalmente invertiti in base alla convenienza del momento. Non vi è più onore, non vi è più lealtà o fedeltà o coraggio. Non vi sono più le virtù. E, ovviamente, non vi è più Amore. Ridotto a melassa sentimentale nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore….

Inutile, quindi, chiedersi perché, di fatto stia franando ogni legame famigliare, di appartenenza. Sociale e politico. Ci si basa solo su interessi, pulsioni, istinti. Non su un ethos. Che, certo, era più scomodo…a volte tragico. Il mito di Antigone sta lì a dimostrarlo. Ma era, appunto. E dava senso al vivere. Mentre quello che stiano vivendo è un nichilismo senza speranza. E privo di qualsiasi grandezza.
Resta, quindi, la Bellezza. Il senso estetico. Che va educato, certo. Ma che, in primo luogo, dobbiamo trovare dentro di noi.
Una cosa bella è anche buona moralmente. Questo dicevano i greci. E avevano ragione.
La autentica bellezza di un sorriso, di uno sguardo, di un volto è, di per sé, pura. E morale. Saperla cogliere, significa estrarre lo smeraldo dalla miniera. Sottrarlo al fango e alle impurità. Vederlo spendere. E non desiderare altro.