Cari lettori, dopo la “pausa estiva” riprende la mia rubrica dedicata all’arte e alla fotografia.
Ho avuto l’onore di conoscere ed intervistare un grandissimo scultore conosciuto e riconosciuto a livello nazionale ed internazionale: Fabio Viale.
In verità questo articolo sarà un po’ diverso rispetto agli altri perché con questo artista nulla sfocia nella banalità, infatti, anziché utilizzare i classici quesiti che presuppongono una domanda a cui corrisponde una risposta ho instaurato un interessantissimo confronto presso il suo laboratorio torinese in cui mi ha raccontato cosa sia per lui l’arte, le tecniche che utilizza, le news concernenti la sua ultima mostra e l’ispirazione che trae da alcune correnti artistiche del passato.
Ora passiamo all’intervista o meglio a ciò che ho potuto vivere durante la sessione con Fabio Viale, già perché non è stato come sempre accade… di solito la redazione invia una richiesta di appuntamento ovvero una comunicazione per verificare la disponibilità dell’artista al rilascio dell’intervista e poi, una volta ottenuto il suo placet, inizio ad approfondire, anche se in molti casi già a me conosciute, le peculiarità e le essenzialità della sua arte così da redigere un elenco di domande “non banali”… (ovviamente spero di riuscirci).
Sinceramente non sono mai stata interessata a intervistare qualcuno così per fare, il mio intento non è quello di stupire per forza né tanto meno di replicare qualcosa di già conosciuto e scritto da altri… quello che desidero attraverso la mia intervista è riuscire a mostrare il “sotto pelle” dell’artista…
La tensione questa volta è molta e non voglio in alcun modo dare la sensazione di essere un giornalista “classico” (cosa che non sono in effetti), pertanto inizio ad appuntare alcune domande che spaziano dalla tecnica, alla vita privata, al concetto della sua arte e alla gestione della sua squadra di collaboratori per finire all’analisi del mondo dell’arte e alla politica commerciale delle Gallerie e dei Musei. “Sono soddisfatta, secondo me sarà una bella intervista!”.
Mi presento, perfettamente in orario (non voglio perdere nemmeno un minuto del tempo messoci a disposizione da Viale) davanti al suo laboratorio, non riesco a trovare il campanello – “ecco brava! Iniziamo bene… ora arrivo in ritardo perché non riesco a suonare … chiamare per farsi aprire non è troppo professionale”. Fuori dal grigio cancello di metallo due ragazzi parlano tra di loro, penso fra me e me “Wow, lavoreranno con Viale – Scusate se vi disturbo sapete se è qui il laboratorio di Viale???”. Il cancello si apre e vengo accolta affettuosamente e con una insolita gentilezza (specifico perché ho sottolineato “insolita”… il mondo dell’arte, a volte, è colorato di un, a mio avviso immotivato, snobismo) da una collega di Viale (poi nel corso dell’intervista scoprirete chi è…) che mi accompagna all’interno del laboratorio.
Per me che amo da “pazzi” l’arte è come valicare l’ingresso di EuroDisney. Quello che mi appare davanti agli occhi è un vero e proprio dipinto moderno: sculture sparse per tutta la grandezza del laboratorio, rumore degli strumenti che sinuosamente si muovono sulla materia, i giovani allievi che si prodigano sulle opere in base alla loro creatività diretta dal Maestro e in mezzo Viale, il Maestro, che scolpisce una meravigliosa opera. Rimango innamorata, mi sono immaginata di entrare in una bottega Rinascimentale e vedere le fasi di come nascevano le opere d’arte…
Viale mi vede con la coda dell’occhio, si gira verso di me e mi chiede di attenderlo pochi minuti perché deve terminare una lavorazione (di cui peraltro mi parlerà!). Onestamente anche in questo caso rimango sbalordita dalla gentilezza (ci sono stati casi in cui ho anche atteso ore prima di parlare con artisti o galleristi senza peraltro ricevere alcuna informazione sul ritardo). Mi permetto di rimarcare il punto, non tanto per incensare il Viale, bensì per sottolineare come la grandezza di una persona e la sua genialità si misurano anche nei suoi modi e nel suo rapporto con il mondo esterno.
Viale, una volta posati gli strumenti del “mestiere” e dopo aver impartito alcuni consigli ad una sua allieva e collaboratrice, viene verso di me fiero e determinato (la paura che un artista sia scazzato e irrigidito dal fatto che tu giornalista gli stai facendo perdere tempo esiste…).
Ho fatto, nella mia breve ma intensa carriera giornalistica, molte interviste a “pezzi da 90” del mondo dell’arte nazionale ed internazionale, eppure questa volta ero molto agitata, non so perché…, forse perché a livello personale sono una grande estimatrice della sua creatività e della sua arte. Respiro, sorrido, saluto, tiro fuori la mia agendina verde con gli appunti relativi all’intervista… sto per iniziare con la prima domanda e… “ecco Ti faccio vedere questa opera…”
Quella che immaginavo come una “semplice” intervista si è trasformata in un meraviglioso walzer concettuale all’interno del suo laboratorio… ogni argomento veniva posizionato accanto ad un’opera così che man mano che scoprivo l’artista Viale riuscivo a “gustare” visivamente le sue parole che diventavano forma e materia attraverso le opere che avevo accanto. Spero di aver reso l’idea… sapete molto spesso quando si intervista un artista è difficile entrare in empatia o in contatto energetico con quello che racconta, con quello che crea, con la sua idea di arte… in questo caso, anche grazie alla forza carismatica di Viale, è stato diverso… perché mentre lo ascoltavo e interagivo con lui, ero ed eravamo immersi nella sua Arte.
La nostra “danza” inizia da… una domanda: “conosci Renè de Chalon?”.
Lo guardo, sono felice, conosco la risposta… “Sì, certo…” ma non faccio in tempo a continuare che Viale mi racconta la peculiarità dell’opera cinquecentesca e l’innovazione della tecnica utilizzata… “questa statua è in partenza per Arezzo, dove fino al 30.09.22 sarà visitabile la mostra AURUM”, innamorato della sua creatura mi parla e io altrettanto incantata della statua che ho davanti mi perdo in un dedalo di stupefatte riflessioni: sembra polistirolo, sembra leggera quasi fragile al tatto (ma è Marmo!), rappresenta una statua funeraria eppure non mi trasmette inquietudine… non faccio in tempo ad intervenire che la musica immaginata nella mia mente (forse il rumore incessante che si propaga nel laboratorio nella mia testa diventa una musica che accompagna il nostro viaggio) mi porta davanti ad un scheletro della testa di leone dove illustra la nuova tecnica di lavorazione del marmo o meglio come riesca ad intarsiare l’oro nella materia. Un elemento prezioso che dona alle sculture un tocco personale, unico e ricco di phatos. Sono lavorazioni che richiedono molto tempo, molto più lunghe rispetto alle classiche ma che a detta di Viale “sono alla lunga più stimolanti”.
Il risultato, valutazione squisitamente personale, è qualcosa di eccezionale. Non è una mera esposizione e descrizione delle sue opere…Viale fluttua tra l’analisi della sua produzione artistica e il concetto, l’idea sottesa al suo modo di intendere e realizzare arte.
Intorno a noi continuano a lavorare i suoi allievi che incessantemente accarezzano la materia senza sosta. Ho apprezzato molto il modo di considerare gli allievi che assistono Viale: “sono ragazzi che stanno imparando a dialogare con la materia… non voglio condurli per mano… voglio lasciarli liberi, anche perché a mio avviso bisogna interagire con la materia che si sta lavorando e seguire le percezioni e sensazioni che essa trasmette. Il nostro è un rapporto con la materia che trasmette emozioni e riceve a sua volta emozioni”.
Una delle peculiarità per cui Viale è noto è certamente la tecnica del “tatuaggio sulla pelle di marmo”. Voglio chiedere qualcosa su questo aspetto… ma ho timore che possa essere letta male, sapete la classica domanda che inizia con “la tua opera più famosa… la tua caratteristica più riconosciuta è….” E che termina con la risposta del nostro interlocutore con una piccata, arrogante e arrabbiata risposta che chiude il tuo interesse con “tutte le mie opere sono famose! Non sono conosciuto solo per quello!” … bene in questo caso non è accaduto anzi Viale è stato delicatissimo nell’affrontare un discorso mainstream.
“Il lavoro dei tatuaggi l’ho intrapreso circa 15 anni fa. Ogni artista è contraddistinto da un simbolo riconoscibile ed è grazie a quello che si diventa famosi o comunque conosciuti e nel mio caso uno degli elementi per cui sono conosciuto e riconosciuto è anche questo ed è corretto così. Poi sai l’arte non deve per forza comunicare, ma nel contempo bisogna lavorare sulle emozioni mentre si crea, come ti dicevo prima, essere pervasi da quella energia che solo la sinergia tra materia ed artista è in grado di generare”.
Insomma per sintetizzare il pensiero di Viale credo che questa frase sia appropriata: Se l’artista non avesse creato, se l’occhio umano non avesse tentato di guardare l’anima che la scultura cela… allora lo spettatore non avrebbe potuto innescare dentro di sè una profonda riflessione inerente all’anima e all’essenza della statua.
Domando: “Non hai paura di cadere? Raggiunto il successo non hai timore che le Tue opere non piacciano più?” – “ma sai… non ho ansia. Non ho paura di cadere anche perché ho salito gradino dopo gradino.. e quindi se del caso anche la discesa sarà così.. poi, molte delle mie opere sono stati esperimenti che negli anni hanno suscitato reazioni nel pubblico e nella “critica” assai differenti… certe sculture ci mettono un po’ per essere apprezzate dal pubblico anche in base al periodo storico e alle mode. Penso che la maggior parte delle persone all’interno di una galleria d’arte o mostra criticherà le opere che vede e si limiterà a basare un giudizio in base alla propria percezione visiva, ma non saprà davvero cosa sta vedendo perché il livello energetico è esclusivamente in capo all’artista. In conclusione se entri nel mondo dell’arte perché replichi e quindi se hai successo “sei un fortunato” allora si che devi avere paura perché puoi cadere e farlo in modo rovinoso. Ma se riesci a far conoscere il tuo lavoro, la tua concezione di arte, la tua idea non per fortuna ma per capacità, voglia di migliorarsi e sperimentazione non ci può essere ansia e paura. Guardandomi indietro devo dire che io ho giocato facile, sono entrato in un sistema in cui la produzione prevalente era “brutta” e io non ho seguito quella direzione, anzi quella contraria!”.
Inserirsi nel discorso è complesso perché Viale è un fiume in piena, le sue parole sono dense di concetti, ma io voglio approfondire l’uso di riferimenti classici “perché le tue opere spesso “partono” da riferimenti classici??” – “lavoro sul classico perché li reputo simboli universali ma poi…la scultura che realizzo è una lavorazione sulla lavorazione, l’opera è fatta da forma e superficie e proprio su quest’ultimo livello posso realizzare un’altra scultura che magari non ha alcuna attinenza con la forma, elemento più elemento mi permettono di caricare la statua di energia. Per esempio una statua che reca una lavorazione che raffigura la leggerezza del polistirolo offre più visioni e ognuna differente all’altra, esempio la visione da lontano e quella da vicino. L’arte rappresentava ciò che si vedeva fuori, io invece voglio porre l’attenzione su ciò che c’è dentro, partendo da dentro e quindi interagendo con la materia che lavoro. Poi la statua per me è un simbolo. Un modo per avvicinarti alla mia arte. Fai caso alla scultura del pneumatico… io grazie ad un inganno ti avvicino a me, alla mia arte e ti invito, non ti obbligo, a vedere, sentire, percepire altro”.
“Ma poi la classicità quanto è attuale?” “Assolutamente si. Facci caso, il canone di bellezza classico è esattamente quello attuale, prendessi il calco del busto di un atleta contemporaneo credo che nessuno capirebbe mai che la base di partenza non sia una statua classica”.
L’intervista è un vortice che mi cattura, ma una cosa attrae fortemente il mio sguardo: a fianco a me, ci assiste una collega del Viale (ricordate chi mi aveva accolta?): “Voi siete compagni anche nella vita?” (domanda forse non necessaria e come diceva il mio maestro al liceo: “Beatrice sei fuori tema”, ma non mi interessa, perché la sua presenza e i loro sguardi forniscono all’incontro una dolce nota alla musica che ho ascoltato). “Cioè è difficile lavorare insieme e vivere insieme?” – “Curiamo aspetti differenti e completiamo quindi l’operatività e la funzionalità della macchina insieme pertanto sebbene lavoriamo insieme non è così complesso”. Si guardano e sorridono… “Ci parlate della Mostra aretina?” “Certo. AURUM, sarà dislocata in diverse zone della città di Arezzo. Opere nelle piazze, sul sagrato del Duomo, dentro la fortezza medicea ed all’interno della chiesa di Sant’Ignazio, per poi spostarsi presso il museo di arte contemporanea in cui sarà possibile osservare le sue sculture più “old” come ad esempio gli aereoplanini di carta e le ruote.
Poi affrontiamo e svisceriamo il tema del “sistema” dell’arte, della politica culturale e del mercato delle Gallerie d’arte ma questi sono aspetti che rimarranno ancora “sotto pelle”, chiusi nel cassetto dei confronti personali e privati, perché rientrano in un piacevole confronto tra persone che amano l’arte e che avevano già concluso l’intervista e il ruolo di giornalista/artista.
Il tempo è volato e dopo i saluti di rito, chiudo la mia agenda con gli appunti e le domande (che non sono riuscito nemmeno a guardare), soddisfatta e felice, mi reco in redazione sperando di riuscire nell’impresa di dare forma e colore a ciò che avevo appena ascoltato e vissuto.