A volte uscire sul fare dell’ Alba, quando la prima Aurora colora l’orizzonte con le sue “dita di rosa” – per abusare ancora una volta di Omero – dona una, strana, emozione.
O bella, e che c’entra questo? – mi sembra già di sentirlo il Direttore – non sai proprio che scrivere, oggi, eh…e allora ti metti a fare.. il poeta…
E qui divengono necessarie alcune puntualizzazioni. In primo luogo sta storia del Poeta. Che detta dal Direttore non è certo un complimento. Perché dalle sue parti – e anche dalle mie – dire che uno fa il poeta, equivale a dargli della testa bizzarra. Del balzano. Che, nelle gerarchie paesane di un tempo, era personaggio canonico. Che si contendeva la palma dell’attenzione con un’altra figura immancabile ed essenziale. Lo scemo del paese. Ora, lo so che si tratta di specie estinte o in via d’estinzione, come il Dodo e il Panda. Il Poeta, se ancora talvolta si appalesa, richiama l’immediata attenzione dei Servizi Sociali. Perché uno che dice tante corbellerie…è socialmente pericoloso…
Breve inciso (oggi è una giornata così, tutta incisi e parentesi). Quando l’Ariosto diede lettura alla corte Estense dei primi canti del Furioso, il Cardinale Ippolito d’Este, fine letterato, gli disse: “O messer Lodovico, ma da dove le avete cavate fuori tutte codeste corbellerie?”. Ed era l’Ariosto. A dimostrazione che fare il poeta è, pur sempre, cosa che appare agli altri una, inspiegabile, eccentricità… Tant’è che, appunto, oggi tale figura è data per dispersa, se non proprio estinta. A differenza dello Scemo del Paese. Che essendo più malleabile, e meno inquietante, oggi dal paese è uscito. Ha fatto carriera. È divenuto giornalista, opinionista, politico…anche ministro. E, quindi, non lo si può più dire scemo. Anche quando dichiara, ad esempio, che Beirut si trova in Scandinavia. Non si può, e a ragione. Perché gli scemi siamo noi, che abbiamo studiato un po’. E che ci ostiniamo a pensare che debba servire…
Comunque, torniamo al Poeta come tipo balzano. Chi abbia letto il Manzoni, e ne abbia ancora buona memoria, avrà subito capito dove andavo a parare.
Dunque, siamo al capitolo XIV del Romanzo. Che poi (altro inciso) “è l’unica cosa del conte Alessandro che si debba leggere davvero, e con attenzione. Il resto è per filologi e professori…”
Comunque siamo subito dopo la rivolta del pane, l’assalto al Forno delle grucce, le sassate, i birri milanesi e i soldati spagnoli… E Renzo è finito in Osteria. Ha una sete barbina e tracanna vino. Cui non è abituato. Cosa pericolosa perché lo fa parlare a vanvera. E questa non è cosa furba, soprattutto perché è in compagnia di uno che, palesemente, è uno spione del Capitano di Giustizia e degli sbirri… Uno di quelli che, in tempi più recenti, si sarebbe appostato al balcone. Pronto a denunciare i ragazzini che osavano uscire a giocare a palla… E che lì si era mescolato alla folla, affamata e furente, per aizzare. E vedere se qualche pisquano ci cascava. Dando (troppa) aria alla bocca. E il nostro Renzo era pisquano. E, per di più, pisquano ubriaco fradicio….
E li c’è uno scambio di battute tra il Tramaglino e un bel tomo locale. Che fa, appunto, il poeta. E il Manzoni si lascia andare ad una divertita digressione su questo modo di dire. Tanto più divertita perché, probabilmente, sapeva come lo consideravano molti del popolo e non solo. Uno strambo, che scriveva stramberie. Quindi…un poeta.
Ma torniamo all’inizio. Al l’emozione che si prova uscendo di casa sul far dell’alba… beh è una bella emozione. punto. L’articolo è già troppo lungo per continuare… E poi, al massimo, potrei aggiungere qualcosa su un aureo libretto…
“La gioia è col mattino”. Di Woodhouse. Il più grande umorista inglese. Che, non a caso, gli inglesi cercarono di condannare…ma questa è un’altra storia. Meglio non bruciarla così….