Da quando sono in grado di ragionare (sì, insomma, ragionare…), ho sempre notato la tendenza della gente all’utilizzo di determinati termini, piuttosto specifici, come fossero una vox media: va da sé che, in questi casi, occorrerebbe cogliere il valore semantico definitivo della parola, piuttosto che concentrarsi sulla sua origine. Ad esempio, se il moroso insulta la morosa, colta in flagranza di adulterio, dandole della troia, è da escludersi che il cornuto intenda associarla a un’antica città dell’Asia Minore o all’incolpevole femmina del verro.
Dirò di più: anche nel significato di prostituta, il meschino opererebbe una sorta di metafora comportamentale, restando sempre lontanissimo dal concetto sotteso dalla sua sortita: mi hai spezzato il cuore, non me lo sarei mai aspettato, io ti amavo, eccetera eccetera.
Ebbene, a partire, diciamo così a spanne, dagli anni Settanta, il termine assolutamente tecnico “fascista”, che stava ad indicare una precisissima militanza politica, sia pure sotto diverse declinazioni, a seconda della Nazione cui questa militanza faceva riferimento e con i dovuti distinguo a ciò legati, cominciò a diventare, appunto una vox media: ad assumere un significato sempre più inclusivo, semanticamente. E non è detto che l’inclusione, non me ne vogliano i compagni, sia sempre un bene.
Dunque, dicevo, con la parola “fascista” si cominciarono ad indicare tutti coloro che, a vario titolo, non condividevano la sempre più rivoluzionaria Weltanschauung di certa sinistra gruppettara: all’inizio, i missini (e ci potrebbe anche stare), poi i moderati, i cattolici e, infine, perfino il PCI, reo di non condividere certe scelte da democratici con le chiavi inglesi.
Insomma, alla fine era fascista il padre che ti diceva di non fare tardi, il professore che pretendeva studiassi, il sacerdote, il carabiniere: era un mondo in cui il giovane illuminato si sentiva circondato da fascisti di ogni foggia e colore. Tantum religio potuit suadere malorum, dove “religio” sta per superstizione. Questo è il fascismo “ubiquitario”, è questo l’”UR fascismo” di cui blaterano, in una perenne ecolalia lamentosa, i santoni dell’antifascismo: un semplice equivoco linguistico, un’incompetenza cognitiva.
L’idea, cioè, che tutto quanto sia ascrivibile a malvagità, intolleranza, ottusità, violenza, prepotenza, soperchieria, sia attribuibile al fascismo: si chiami “fascismo”. Viceversa, tutte queste nobili attitudini sono sempre esistite: non sono nate in piazza San Sepolcro e non sono morte a Giulino di Mezzegra.
Sono il lato oscuro dell’uomo e si nutrono di ignoranza, inciviltà, crudeltà, che non sono prerogative fasciste, sibbene umane. L’idea che la violenza di cui si parla in questi giorni provenga da una cultura fascista significa ritenere che l’umanità sia, fondamentalmente, un paradiso, inquinato da pochi, opachi, atomi di male: un male assoluto che si chiama “fascismo”. E, dunque, andando a ritroso nel tempo, erano fascisti, a Bronte, tanto gli infuriati quanto i fucilatori, come fascisti erano i tagliatori di teste di Otranto o gli sterminatori di Beziers. E’una visione della storia e dell’antropologia del tutto ottusa, di un’ignoranza crassa e di una cecità critica impressionante, oltre a denunciare una desolante povertà lessicale. Finchè la proclama un’influenzatrice di sciampiste, non mi stupisco: che la faccia propria un oracolo nonagenario, un tantino sì…