Cari lettori,
dopo una breve pausa estiva riprende la mia Rubrica dedicata all’Arte e alla Fotografia. Inizio il mese di ottobre presentandovi Federico Masini. Questo artista nasce a Moncalieri, in provincia di Torino.
Dopo la maturità classica, studia medicina e chirurgia. Si avvicina alla fotografia per piacere e, col tempo, converte la sua passione in lavoro. Scatti di reportage e fashion-lifestyle gli valgono la collaborazione con agenzie ed enti che lo portano in viaggio per l’Italia e per il mondo.
Federico è stato mio ospite durante i TDD (Torino Digital Days) evento nel quale abbiamo amabilmente discusso di “La creatività artificiale”.
Sono rimasta particolarmente colpita dalla sua intelligenza e dalla personale visione del mondo.
Le fotografie di Federico se osservate con attenzione ricordano il pensiero del grande filosofo tedesco Friedrich Nietzsche. I suoi scatti, si concentrano su soggetti che interagiscono con tutti i loro sensi attraverso lo spazio in cui sono collocati, sembra vogliano distruggere le certezze passate sia a livello di canoni artistici fotografici sia a livello umano.
Le persone che l’artista immortala danno l’impressione di voler abbandonare le loro sembianze umane per potersi trasformare in piante, mostri o creature mitologiche le quali non sono altro che la proiezione dei pensieri creativi dell’artista.
Il messaggio che Masini vuole trasmettere allo spettatore non è altro che un soliloquio, un dialogo interiore con sè stesso raccontato attraverso i suoi scatti che rappresentano la manifestazione dei suoi sogni, desideri, paure e ricordi.
Questo tipo di comunicazione è una sorta di invito rivolto a tutti noi: troviamo la forza di guardarci di dentro, indaghiamo sui lati più nascosti della nostra personalità, quelli che non riveliamo a nessuno, sviluppiamo i nostri talenti… il risultato potrebbe essere straordinario. Per il vero artista è bello soltanto quel volto che, a prescindere dall’aspetto esteriore, irradia la verità che è nell’anima.
Buona lettura.
B: Come si è sviluppato il tuo interesse per la fotografia?
F.M.: Storia strana. Ero profondamente convinto che nella vita avrei fatto il medico. La fotografia fino ai miei venticinque anni è stata veramente marginale all’interno della mia vita. E i miei ci avevano pure provato a farmela piacere. Ricordo che mio padre, fotografo hobbista, quando ero bimbo ci teneva a farmi portare sempre dietro una macchinetta usa e getta. Poi è venuto il tempo della macchinetta di Paperino (quella a forma di 313, che nostalgia!), con la quale ho vinto il prestigioso concorso fotografico della Spiaggia D’Oro (ride). E poi, per una decade abbondante, il silenzio. Nel mentre ho cominciato a suonare la chitarra, a fare black metal, a capire che mi piaceva l’arte a tinte cupe, che mi piaceva esibirmi ma ancora niente foto. Intorno ai vent’anni mi ritrovo di nuovo una macchina fotografica in mano: è quella della mia ex del tempo. Gliela sequestro, imparo (più o meno) a fotografare, mi mollo e sono di nuovo al punto di partenza senza macchina fotografica. E, di nuovo, per qualche anno il silenzio. Poi, ad un certo punto, il mio tatuatore (grazie Denis Elice, sei il mio mito!!!) mi propose di acquistare la macchina fotografica che usava per fotografare i suoi tatuaggi perché lui sarebbe passato a un nuovo modello. Apriti cielo! In tre mesi ho cominciato a fare della fotografia la mia professione e, di lì, tutto il resto.
B.: Cosa vuoi comunicare con i tuoi scatti?
F.M.: Questa è una domanda che mi pongo spesso. A volte credo che la mia fotografia sia un soliloquio, una sorta di dialogo interiore tra diverse parti di me. La mia fotografia è il mio psicoterapeuta e manifesta i miei sogni, i miei ricordi, i miei desideri e le mie paure. Mi piace fotografare perché mi consente – perdonate l’immagine un po’ zuccherosa – di dare forma alla mia sostanza mentale. Quindi, a volte, mi ritrovo a parlare di un mondo che mi sfugge tra le dita, altre volte ritraggo l’Eden, altre volte creo tableau vivant che raccontano scene religiose o mitologiche, mentre in altre occasioni cerco semplicemente di realizzare una composizione che mi faccia pensare: “Che cosa bella ho creato”. In alcune circostanze, desidero trasformare le persone in piante, in mostri o in animali. Insomma, voglio offrire ai miei spettatori uno sguardo sul mio parco giochi.
B: Quali sono i tuoi soggetti preferiti?
F.M.: In questo momento mi piace lavorare sulle relazioni tra corpo e spazio, che ho esplorato nel mio ultimo progetto “They Return To Their Earth” (del quale uscirà il libro a dicembre) e sto esplorando nel mio attuale progetto “Manes”. Più in generale, mi piace lavorare con le persone.
B. Come descriveresti la tua fotografia a una persona che non l’ha mai vista?
F.M.: Sono un naturalista che, più che con la fotografia, trova affinità con la pittura. Sono ispirato dalla pittura romantica, dal simbolismo francese e dai preraffaelliti. Nelle mie immagini cerco di mettere il corpo umano in relazione al paesaggio circostante, che può variare da un ambiente più naturalistico a uno più antropomorfizzato. Attualmente sto lavorando su un progetto un po’ grottesco in cui trasformo le persone in creature mostruose e fantasmi, creando immagini dall’atmosfera cupa e illuminate artificialmente. È un po’ giocoso, un po’ malinconico e un po’ dark ma mi diverto davvero tanto nel realizzarlo
B: Qual è il tuo processo creativo? E quando decidi che una foto è pronta per essere stampata?
F.M.: Leggo libri, guardo immagini e film, sogno e prendo appunti. Ad un certo punto, vengo folgorato da qualcosa e cerco di trasformare quell’ispirazione in un’immagine. A questo punto, immagino un contesto adatto e una o più persone che possano dar vita a questa visione. Altre volte, invece, seguo un processo inverso: guido in macchina per ore finché non trovo un luogo che parli a me, e a quel punto decido di popolarlo con delle persone. Stampo le foto che mi fanno stare bene o quelle che mi fanno stare particolarmente male. Quando riconosco qualcosa di autenticamente mio all’interno di un’immagine, allora so che è l’immagine giusta.
B: Cosa pensi degli NFT?
F.M.: Penso che gli NFT siano la naturale evoluzione dell’arte spostata nel mondo dei social media. A me piace il substrato fisico dell’opera, mi piace l’odore della carta e dell’inchiostro, mi piace il fatto che la stampa rifletta in qualche modo chi la sta guardando. Credo che gli NFT non siano una cosa cattiva né siano una cosa buona. Sono, e basta. Non ho mai pensato di approcciarmici seriamente, ma un giorno potrei farlo. Gli NFT presentano vantaggi per i collezionisti e in qualche modo democratizzano il mondo dell’arte. Puoi possedere un’opera a un costo abbordabile e non hai il problema dello storage, perché alla fine hai comprato una stringa di codice. Sembra un po’ una paraculata, ma credo che gli NFT possano dare nuova linfa al mondo dell’arte. È comunque un argomento complesso che richiede una discussione più approfondita.
B.: Oggi si utilizza il linguaggio del web e dei social. Come ha cambiato o influenzato la fotografia?
F.M.: I social vanno veloce e sposano una fotografia veloce. Credo che il linguaggio della fotografia non stia cambiando più di tanto, ma nella fotografia “per tutti” sta avvenendo un importante percorso di semplificazione. Che di per sé non è un male, sono fan della democratizzazione dell’arte se si modifica il contenitore senza svilire il contenuto. Di sicuro stanno venendo fuori tanti festival, mostre e gallerie giovani che preferiscono lavorare con artisti che hanno un linguaggio immediato e di impatto, mettendo da parte prodotti più sussurrati e, a volte, complessi. Ma il mondo evolve da quando esiste, quindi va bene anche questo.
B.: Ci sono culture che non approvano o non capiscono o non accettano la fotografia. Come ti poni davanti al problema della “fotografabilità”?
F.M.: Per mia esperienza personale, mi sembra che le culture che non accettano, non approvano e non comprendono la fotografia stiano diventando sempre meno numerose. Per molti anni si è discusso della “fotografia che ruba l’anima” e delle popolazioni che evitano di essere fotografate completamente, ma credo che oggi questo fenomeno sia numericamente molto meno significativo. D’altro canto, anche se spesso non ci facciamo caso, è interessante notare come esista un importante tabù sulla fotografia e sulla riproducibilità dell’immagine anche nel mondo occidentale. Ci sono molte situazioni in cui è moralmente inaccettabile fotografare o riprodurre immagini, sebbene spesso questa restrizione sia comprensibile e miri a preservare l’ordine sociale, la libertà e la dignità individuale. Tolto questo, comunque, potrebbe essere opportuno, forse, che i social media studiassero con maggiore attenzione le politiche riguardanti il nudo, al fine di evitare di equiparare la mia produzione e quella di molti altri artisti che lavorano sul corpo umano alla pornografia. Tuttavia, credo che anche questa sia una questione destinata a evolversi nel tempo.
B.: Hai qualche progetto futuro di cui vorresti parlarmi?
F.M.: In questo momento sto lavorando su un nuovo progetto intitolato “Manes,” che è il naturale proseguimento di “They Return To Their Earth,” e tutti gli scatti di questo progetto sono realizzati in notturna con l’ausilio di luci artificiali, spesso di fortuna. È un lavoro che a prima vista può sembrare crudo, duro e malinconico ma, scendendo più in profondità, al contempo è anche profondamente giocoso. Sto anche cercando di sviluppare una performance per la settimana dell’arte di Torino, ma vi dirò di più se e quando la cosa si concretizzerà.
B.: Pensi che i giovani che si approcciano alla fotografia abbiano possibilità di crescita nel nostro Paese? Hai qualche suggerimento da dar loro?
F.M.: Il mondo della fotografia è in continua evoluzione, e genera costantemente nuove opportunità di crescita e di lavoro. Con il giusto impegno, la giusta sensibilità e l’intelligenza adeguata, è possibile ottenere grandi soddisfazioni. Ragazzi, leggete molti libri, studiate intensamente, partecipate a tutte le mostre e i festival che potete, guardate molti film e cercate di vivere al massimo tutto ciò che vi si presenta davanti. Possiamo creare opere potenti solo se riusciamo ad essere ispirati dal mondo in modo altrettanto potente. Per realizzare cose di bellezza, sono necessarie emozione, costanza e disciplina.
B.: Nel tuo campo quanto è importante la competitività? La vedi come una congettura positiva o negativa? Sei competitivo?
F.M.: Nel mio campo, la competitività riveste un ruolo fondamentale. Tuttavia, ritengo che sia essenziale in ogni aspetto dell’esistenza, che tu sia un uomo, un gatto o un batterio. Non la vedo né in modo negativo né positivo; è semplicemente un aspetto intrinseco della vita. Tuttavia, la competitività non deve necessariamente manifestarsi come una forza malsana che ti spinge a distruggere tutto ciò che incontri. Deve essere vissuta in modo sano e maturo e, purtroppo, alcune volte sono il primo a viverla veramente male. Ma un giorno crescerò e diventerò più saggio, ne sono sicuro!